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Malesani: "Il mio calcio simile a quello di Guardiola. Voglio tornare"

di Lorenzo Di Benedetto
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Alberto Malesani ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport. Queste le sue parole: "Quel gesto dell’orecchio di Mourinho allo Stadium non l’avrei fatto. Però avrei esultato, perché poi l’esultanza dell’allenatore chi l’ha sdoganata? Io, anche se dicevano che macchiava l’immagine, che non andava fatta. Ora, e da tempo, vedo tecnici entrare nel campo e saltare, Conte, Klopp, tanti altri. E la tuta? Io la portavo, Sarri ci ha fatto una cavalcata di anni a Napoli. Prima sembrava tutto una bestemmia. Come un certo gioco: pressing alto, la transizione di un certo tipo, partecipazione collettiva, aggressione, proposizione. Se un ventenne mi chiedesse a chi assomigliava il mio calcio, direi che ero più vicino a Guardiola che ad altri, ma senza voler fare il presuntuoso: quel mio Parma che vinse la Uefa contro il Marsiglia aveva molti concetti di Pep. Ci terrei a finire meglio la mia carriera da professionista. E non con quell’esonero a Sassuolo, punto che non vorrei fosse di non-ritorno. Io col calcio non ho smesso".

Parma-Sassuolo?
"La mia carriera e tutta dentro quella partita. Il mio Parma in una parola? Vincere. Con una squadra formidabile, con divertimento. Mi rimproverarono di non aver vinto lo scudetto con quella squadra? Ok, ma chi ha più vinto la Uefa o Europa League in Italia. Nessuna. E la Uefa allora aveva squadroni tosti. Ricordo che con quella vittoria a Mosca i giocatori mi obbligarono a comprare una macchina seria. La mia avventura a Sassuolo? La dimostrazione che nel calcio il risultato conta. Zero vittorie: a casa. Sbagliai a inserire troppo in fretta i nuovi arrivi di gennaio, ma stavamo facendo un gran bel lavoro".

Bologna-Fiorentina?
"Firenze. Ero pronto per fare il salto dopo 7 anni di Chievo, ad entrare empaticamente in una città meravigliosa, a tirare fuori il meglio da tutti. Siamo stati felici tutti a Firenze e non dimentico due cose: centinaia di tifosi che vennero a casa mia per convincermi a restare e la gente che resta dentro lo stadio dieci minuti ad applaudire dopo la fine di un Fiorentina-Juve 2-0. Come a teatro. La Viola di oggi? Squadra ancora indefinibile, ma in via di definizione: gli manca gente di esperienza come Bati o Rui Costa che avevo io. Chiesa crescerà: ho allenato suo papà Enrico al quale mancava una cosa, la rabbia. Ecco: Fede è la fotocopia di Enrico con la rabbia addosso. Completo. Bologna? In una parola, impresa. C’erano grossi problemi societari e una volta di più ho avuto conferma che i tanto vituperati calciatori sono la parte più buona del calcio. Sette-otto mesi senza stipendio, eppure tirarono dritto, con serietà. Il finale con tante sconfitte? Sembravano partite regalate, ma era solo uno spegnimento della luce dopo mesi difficilissimi vissuti col piede sull’acceleratore e con la salvezza già in tasca. Ricordo ancora tutti e Gianni Morandi: era lì, viveva la situazione, ci dava una mano, che bellezza. Il Bologna di oggi? Ha un presidente importante, Saputo, sento dire che la squadra non ha ancora fatto il salto di qualità ma ci vuole tempo, nel calcio uno più uno non sempre fa due. Questo Bologna ha giovani ed è destinato a crescere, stile Fiorentina. Inzaghi? Come da giocatore: adrenalinico, concreto, ovvio che debba maturare ma è sempre arrivato all’obiettivo e ci arriverà anche stavolta".

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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