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Inter, tragedia e resurrezione

di Alessandro Rimi
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

E così dopo Spalletti, Sabatini e Antonello, stasera toccherà alla squadra prendersi le dovute responsabilità. Dopo 25 giornate lo score è identico a quello di De Boer e Pioli. Tradotto: fare la differenza solo per mezza stagione, in ogni caso, non basta mai. Vincere appena una gara in quasi tre mesi significa poter dare la colpa a Thohir, ma anche e soprattutto a tanti altri fattori che, improvvisamente, sono venuti a mancare. Come spesse volte in passato, del resto. Posto che l’assenza totale di un presidente è cosa quanto mai ingiustificata (curioso che dopo l’ultima e unica visita del tycoon a Milano i nerazzurri abbiano perso la bussola), i motivi di tale dispersione andrebbero appunto individuati (anche) altrove. Ché, al solo pensarci, viene il mal di testa. Di più non appena ci si accorge quanto, per noi poveri umani, trovare la soluzione rasenti l’impossibile. Per questa ragione la pressione cadrà ancora tutta su di lui: Spalletti. Esperto abbastanza da non contraddire direttori e alte cariche, intelligente a tal punto da definire Steven Zhang un «perfetto presidente», nonostante alla voce presidente (almeno sulla carta) corrisponda un altro nome.

Essere allenatore nerazzurro, in questo periodo storico, dopo innumerevoli e violenti fallimenti, non sarebbe facile neppure per Mourinho. Lo Special One, allora, fece una serie di nomi per il mercato. Nondimeno gliene comprarono di altri, ma quegli altri erano Eto’o, Lúcio, Milito e Snejder. Tempi (e libertà di spesa) estremamente differenti. Per cui, una volta compreso quanto le cose nel frattempo siano parecchio cambiate, bisognerà sapersi inventare altro. Anche perché, va detto, che da allora pure obiettivi e numero di impegni sono stati protagonisti di variazioni corpose. Tutto è proporzionato. Persino i paletti imposti dal poco amato Fair Play Finanziario. Persino la rosa lo è. Il peggior cruccio di Lucio sta nell’aver dimostrato che, nonostante alcune prestazioni bruttissime, questa squadra può senz’altro navigare in acque molto più limpide e colorate. «Siamo calati nel pensiero di essere forti e di poter vincere contro chiunque. Ci disturba un po' la rinuncia, il fatto di non lottare fino in fondo». Ve lo immaginate un calciatore disturbato dai suoi stessi errori? Sta qui l’utopia di un gruppo oltremodo capace prima, depresso e rinunciatario appena un attimo dopo.

La gara contro il Benevento mostra i connotati di una tragedia. L’Inter contro le grandi di questo torneo non ha mai ceduto il passo, anzi, si è pure messa a tirare pesanti bastonate (sportive, s’intende). Grandi che Sassuolo e Udinese non sono. Come pure lo strepitoso Genoa. Tendenze che non regalano esattamente tranquillità a cascate. Ecco perché il derby e il Napoli, paradossalmente, potrebbero essere le gare della resurrezione interista. Spalle al muro, gli uomini di Spalletti si scoprirebbero nudi e costretti a mordere “senza tregua”. In questo senso, quello che suona come uno spareggio Champions contro la Lazio all’Olimpico al tramonto di stagione, non può che rappresentare la massima espressione dello stimolo. Proprio come quello che la Beneamata, da qualche parte, dovrà trovare per riuscire a piegare i ragazzi - apparentemente spacciati - di De Zerbi. Che stranamente giocano a calcio molto meglio di altre squadre. Altro elemento, questo, che ultimamente sa pure tanto di tragedia.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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