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Inter, Spalletti scopre Karamohnster

di Alessandro Rimi
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

Settanta giorni dopo, dieci partite dopo, l’Inter torna a riassaporare il gusto della vittoria. Lo fa (anche) grazie ad un gioiello di giocatore che, in estate, arrivato al posto di gente dal background “leggermente” superiore come Di Maria, Nainggolan e James Rodriguez (per citarne due o tre), aveva deluso le aspettative del popolo interista. Così contro il Bologna, Spalletti, sorprende tutti. Ancora. Fuori Candreva e dentro Karamoh, alla prima da titolare in Serie A. Lui, Yann, risponde con un avvio monster: tocchi di prima, testa sempre alta, straordinaria visione di gioco, occhi piantati verso la porta, incredibilmente preciso nei passaggi, imprendibile quando strappa e converge. Et voilà. L’impatto del diciannovenne franco-ivoriano è semplicemente disarmante. Tra i più impressionanti degli ultimi anni, in proporzione all’obiettivo per il quale l’Inter è in competizione apertamente dichiarata. E pensare che i direttori a gennaio, per un attimo, ci stavano pure pensando anche solo ad ascoltare le offerte dei vari Saint-Étienne, Marsiglia e Stoke City. Un attimo di attesa, poi no. Secco. A tutti. Diceva di ispirarsi a Neymar, Karamoh. Il suo agente assicura che quel che si è visto a San Siro in una domenica di febbraio qualunque non è che l’inizio. E noi ci crediamo fermamente.

Il francesino sicuramente, poi a ruota tutti gli altri che hanno riportato l’Inter a sorridere. Eder ad esempio. Eder praticamente sempre, nell’ultimo periodo. Quello realizzato contro i ragazzi di Donadoni è il quinto gol in cinque gare da titolare. Lasciamo perdere il passato, prendiamo i numeri dei tempi recenti. Numeri di uno che non ha pietà davanti al portiere. Come Icardi, che però non era in campo quando la sua squadra tornava a vincere dopo un tempo indefinito di nauseanti passerelle. Eder invece va nell’uno contro uno come stesse per mangiarsi una mela seduto sul divano di casa sua. Punta tutti, rientra in difesa, si sbatte alla stregua di un indemoniato. C’è, Eder. Lo senti, lo respiri, lo vedi. Vuole ad ogni costo essere protagonista, fare la differenza anche lui come il collega argentino.

E Rafinha? Difficile, più che per gli altri, dare un giudizio completo. La sensazione è che il suo grave infortunio lo condizioni nella corsa e nei movimenti fino, quasi, a renderlo imperfetto e poco bello da vedere. Detto questo, prende palla e viaggia solo esclusivamente verso la porta avversaria. Senza troppi fronzoli. Portandosi pure a spasso due o tre avversari e rischiando che, uno di questi, stanco delle continue beffe, lo stenda pesantemente. Uno così serve, a prescindere da tutto. Uno così deve giocare al di là di tattiche e moduli quantomai cangianti.

I gol, gli assist, le giocate buone (quando gli riescono), non sono invece abbastanza per assolvere Brozovic. E probabilmente non lo saranno mai. L’atteggiamento è di uno che non sa che cosa ci stia a fare in campo e con quella maglia addosso che, per averla, altra gente prima di lui, è arrivata a dover stramazzare al suolo in maniera incondizionata. In effetti nessuno lo costringe ad impegnarsi per una causa che non sembra amare più di tanto. Quei fischi, al momento del cambio per Rafinha, non si erano quasi mai sentiti. Il Meazza è stanco delle sue malavoglie. Oggi, oltre ogni limite possibile.

Dove non sembra più andare Perisic da due mesi a questa parte. L’Inter ha trovato la forza per ripartire, lui invece no. Nessuno lo comprende più ormai da un pezzo. Di certo c’è che si tratta di un elemento parecchio emotivo. La squadra cala, lui cala. Si accende, lui si accende. È sufficiente, lui è sufficiente. Tuttavia con la sufficienza, nell’Inter, fai pochissima strada. Nel primo tempo, ha l’occasione per buttare giù la porta, a tu per tu con Mirante, ma lascia andare il piede come avesse appena terminato la maratona di New York. Probabilmente, invece, non aveva mai corso così poco, oltre che male.

Malissimo, come il rinvio di Miranda: da censurare. Vogliamo credere che lo stiramento gli avesse già dato noie, perché altrimenti non c’è da stare molto sereni. Avrà anche esperienza, Joao, ma una spazzata così non se la ricordano neppure i ragazzini dell’Oratorio di Sant’Elena. Da lì San Siro si vede, si sogna, si desidera fortissimamente. Laggiù è pieno di fanciulli che darebbero l’anima pur di vedere la rete gonfiarsi. Li guardi negli occhi e non vedi altro che passione bella e pretta. Non molto diversa da quella che riflettono le pupille di Karamoh. L’Inter, terza da sola dopo il crollo della Lazio al San Paolo, ha in mano una perla. Sta ora a Spalletti cominciare a guardarla come fosse unica e nobile, molto più che rara e solo timidamente affascinante.

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