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Inter, la sindrome dell’up and down

di Alessandro Rimi
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

Bentornata Inter, esattamente come ti avevamo lasciata. Forte, determinata, complicatissima da stendere. Tutte cose che a Spalletti piacciono molto. Quelli che al tecnico nerazzurro non piacciono sono anche gli altri, tanti aspetti negativi di cui questa squadra di spogliarsi proprio non ne vuole sapere: scarsa tenuta mentale, avvio fatuo e sregolato, intensità a sprazzi. Come una sorta di sindrome dell’up and down. L’Inter corre poco e male, produce in maniera disorganizzata ma poi, all’improvviso, si trasforma in qualcosa che farebbe (e in fondo fa) paura a tutti. È qualcosa che succede molto spesso, specie contro le grandi di questo campionato, del tutto incapaci di mettere definitivamente in ginocchio un gruppo solidissimo. Sempre che si ricordi di esserlo, o quantomeno di poterlo essere.

L’Inter non vince una partita dallo scorso 3 dicembre, da quel 5-0 schiacciante al Chievo. Poi le tenebre, con tre ko di fila (Udinese, Sassuolo e Milan in Coppa Italia) e cinque pari, di cui quattro con Juventus, Lazio, Fiorentina e Roma. Questo non può non far guardare al bicchiere mezzo pieno. Si dica che Icardi, di fronte a Fazio e Manolas, non sembrava affatto un centravanti da 200 milioni di euro. Anzi, neanche 100. Si dica, poi, che in certi momenti della gara, gli uomini di Lucio fallivano nervosamente anche nei concetti elementari del calcio. Si dicano cento e mille altre cose stonate, laddove in pochi potrebbero effettivamente obiettare. Ciò che scalda il cuore è la volontà, la reazione costante e continua, la chiara tendenza nel prendere il sopravvento quando nessuno se lo aspetta più. Tra il 73esimo e l’80esimo, Eder e Icardi confezionano tre palle gol mica da ridere. Sette tiri in porta a uno, visto l’andamento della partita, è un bilancio mica da ridere. Sono questi i numeri sui quali martellare. Questi i dati che impongono perseveranza. Con un Rafinha in più e un mercato tutt’altro che chiuso, Spalletti ha le carte in regola per dire la sua. Deve farlo. A patto che si guardi sempre attorno, davanti e dietro.

Vincere a Marassi contro la Sampdoria non sarebbe la cosa più facile del mondo, ma potenzialmente è giusto dire che la Roma potrebbe già mercoledì affiancare l’Inter in classifica. Certo, due punti in quattro match non sono esattamente la cosa più esaltante che ci sia, ma Di Francesco ha in mano una squadra che sa cosa vuol dire giocare a calcio. Si spegne all’improvviso - e in questo ricorda molto la Beneamata - è vero. Tradisce nel momento più importante, vero anche questo. Eppure possiede armi pesanti che possono fare malissimo. In questo senso, meglio pensarci una decina di volte prima di lasciar partire Nainggolan. Collante perfetto tra centrocampo e attacco romanista. Paradigma di un eclettismo affascinante, quello giallorosso. Quando la linea mediana si fondeva con il reparto offensivo e non si capiva mai quali fossero le punte e quali le mezzali, l’Inter andava in totale dispersione. Nondimeno sono queste le gare importanti. Una grande squadra può (ri)diventare tale se accetta di studiare da chi, al momento, risulta più capace nel far girare armoniosamente la giostra. Questione di interpreti e caratteristiche, sì, ma pure di idee e abnegazione. Sfumature imprescindibili queste, per eludere quel seccante su e giù mai redditizio. Decisamente meglio viaggiare dritto: così, al traguardo, si arriva prima degli altri.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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