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Inter, da De Boer a Spalletti: riecco la terra dei fantasmi

di Alessandro Rimi
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Quattro delle ultime cinque gare in Serie A l’Inter le ha giocate a San Siro. E senza perdere mai. Ma questo, domani, conterà relativamente. Già, perché si può anche stare assai comodi in casa (solo un ko in stagione, come la super Juve) ma, prima o poi, il piede fuori bisognerà pur metterlo. Là dove, si racconta, aleggiano i fantasmi. Non tanto per una trasferta qualsiasi, ma esattamente per quella trasferta. Quest’anno Spalletti ci ha rimesso le penne due volte, lontano da casa. Una a Reggio Emilia perché lo ha deciso Icardi fallendo il penalty (e non solo), l’altra un mese fa a Marassi perché lo hanno deciso tutti, senza Maurito, Perisic e Miranda. Quella notte la squadra, determinata dapprima a rompere le tendenze negative, venne risucchiata dal ciclone del terrore. Le pesanti defezioni, gli errori grossolani, la paura di giocare pure i palloni più elementari. Lo stadio. Rossoblù e blucerchiati cambia poco, basta guardare lo score degli ultimi anni sotto la Lanterna per sentire un brivido correre lungo la schiena.

Chiedere al signor De Boer per farsi una vaga idea. Lui che l’anno scorso, dopo il gol del sempreverde Quagliarella, fece le valigie direzione non si sa. Di sicuro lasciò Appiano con una valanga di perché. Più o meno come Spalletti dopo aver notato che a Marassi, contro la Samp, nelle ultime tre partite, la Beneamata è riuscita a strappare la miseria di un punto. Illogico, ma neanche tanto. Prima Mihajlović e Zenga, poi l’attuale tecnico Giampaolo, contro i nerazzurri hanno sempre preparato gare ultra-tattiche, miscelando sapientemente pazienza, spirito di sacrificio e coesione del gruppo. Nel lunch match di Genova e, in generale, nelle prossime sette trasferte in programma (il successo a domicilio manca da 112 giorni), l’Inter dovrà fare leva su questi elementi, molto più che su qualunque altro. Possibilmente per tutti i novanta minuti di gioco. All’andata (3-2), quando si parlava di consacrazione spallettiana sulla panchina nerazzurra, quando si decantavano le prestazioni interiste decorate dai tre legni di Perisic e Icardi (i gol potevano anche essere sei), la Samp quasi non gelava i cuori dei 55mila presenti alla Scala.

Se è vero che delle reali contendenti per i due posti in Champions l’Inter è quella che calcia meno in porta (secondo peggior attacco delle prime otto con 42 gol), che la media punti dalla quindicesima giornata in poi è calata dell’1,5% (due le vittorie contro Bologna e Benevento) e che contro il Napoli si è vista le percentuale di possesso palla più bassa degli ultimi tre anni e di tiri tentati addirittura dal lontano 2004, è altrettanto vera e limpida la crescita di una squadra decisa a non commettere cocciutamente lo stesso, fastidioso errore del passato: competere contro se stessa. Ricorda Lucio che sei o sette vittorie potrebbero non garantire un posto al tavolo dei ricchi. Non sbagliare come fatto in passato, in questo senso, vorrebbe dire compiere solo il primo passo verso qualcosa di grande. Al termine dell’ultimo Sampdoria-Inter, al capolinea della sua breve esperienza a Milano, De Boer disse perplesso di aver visto un gruppo, il suo, «senza coraggio e personalità». Per certi aspetti sembra passata una vita, per tanti altri molto meno. E alla fine del giro, quando in pochissimi festeggeranno, capiremo quali di questi avranno giocato la partita più importante.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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