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Una storia d'amore lunga ventidue anni

di Andrea Losapio
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

Arsene Wenger lascia l'Arsenal dopo ventidue anni. Una notizia incredibile - soprattutto perché ieri, per sua stessa ammissione, non vedeva problemi nonostante lo stadio andasse progressivamente svuotandosi (pur con il tutto esaurito) - e la fine di una storia d'amore lunga, lunghissima. E trascinata da qualche stagione a questa parte, con la speranza di rinverdire i fasti di stagioni oramai passate. Il primo di settembre del 1996 Wenger diventava il primo allenatore non britannico ad allenare l'Arsenal, nonostante la concorrenza non fosse delle più semplici da rintuzzare: quella di Johan Crujff e di Terry Venables.

LA SITUAZIONE DUE DECENNI INDIETRO - Il 1994-95 fu una delle peggiori stagioni dell'Arsenal di sempre. Nonostante le leggende, da Dixon a Keown, da Parlour a Wright, finendo per Winterburn e Seaman, i londinesi arrivarono solamente dodicesimi in campionato. A prendere il posto di traghettatore ci pensò Stewart Houston, antecedendo l'arrivo di Bruce Rioch come tecnico e Dennis Bergkamp dall'Inter. Non fu un'annata straordinaria, perché i fab five - cioè i senatori dell'Arsenal - incominciavano a mostrare parecchi segnali di cedimento. Rioch quindi chiese, chiaramente e duramente, dei miglioramenti netti al board, le teste di alcuni senatori e una apertura sul mercato decisamente troppo stravagante per l'Arsenal. Picche. Così tornò Houston, ma non prima che Pat Rice, altra leggenda del calcio inglese e dell'Arsenal in particolare, mettesse il proprio zampino come traghettatore, almeno fino a inizio settembre.

ARSENE WHO? Gli inglesi, Ranieri se lo ricorderà, non colgono le sfumature. O è bianco oppure è nero e, in questo caso, fu nerissimo, almeno per il titolista. Wenger impiegò delle settimane a liberarsi dal contratto con i Nagoya Grampus, società giapponese. "Stavo per adattarmi a un paese straordinario come il Giappone", disse poi Wenger, "ma la lontananza dagli affetti mi disse che era tempo di tornare in Europa". Il titolista, si diceva, scrisse un'eloquente pagina da ricordare. "Arsene who?". Arsene chi?

ERA SCRITTO NELLE STELLE Era stato però David Dein a decidere per tutti. Il vicepresidente dell'Arsenal, consigliato da Houllier, aveva conosciuto Arsene Wenger nel 1989, in aeroporto, mentre il tecnico del Monaco stava bevendo un cocktail nella lounge. Tempo di interruzione del calcio francese, Wenger stava tornando dalla Turchia dopo aver visto una partita. La moglie di Dein lo notò e lo riferì al marito, che lo invitò a casa sua: dopo la cena giocarono a Charade e per Wenger, alsaziano che parlava tedesco e francese, non poteva essere certo semplice. Ecco, lì Dein capì che era qualcuno di speciale. E che prima o poi sarebbe successo, che "era scritto nelle stelle", per via dell'assonanza del nome Arsene con Arsenal.

THE FRENCH REVOLUTION Così, sette anni dopo, David Dein spinse la sua candidatura con il board, avendo delle ottime referenze anche da Glenn Hoddle, ai tempi allenatore della nazionale inglese, perché aveva giocato per lui al Monaco, dal 1987 al 1991. Cambiò la dieta, cambiò la tattica, il modo di allenarsi. Era una ventata fresca nell'aria, stantia, della Premier League. Faceva crescere i giocatori che, da buoni, diventavano ottimi. Oppure campioni di classe mondiale, come Vieira, Anelka, Henry o Pires. La conoscenza del calcio francese lo portava a preferirli, a farli crescere in maniera esponenziale.

GLI INVINCIBILI - C'è un momento, chiave, nella storia di Arsene Wenger. È l'arrivo di Sol Campbell, difensore, una delle icone dei Tottenham Hotspurs, dove aveva giocato dal 1993 al 2001. La conferenza stampa era stata indetta senza sapere il nome del calciatore acquistato, poi entrò Campbell e ci fu stupore. Ma una sorta di chimica aiutò Wenger a far rimanere a suo agio una delle colonne del calcio inglese, che poi lo diventò anche sul campo, con i Gunners. E fece parte di quegli invincibili che nel 2004 non persero una partita, arrivando però solamente alla semifinale di Champions League. "Eravamo troppo forti, pensavamo di vincere qualsiasi partita, sapevamo di poterlo fare", disse Edu qualche anno dopo. La storia parte da Campbell e termina con Campbell, con il gol di testa in finale di Champions, in una serata stregata che, però, vide l'incantesimo rotto dalla rete di Eto'o a un quarto d'ora dal termine e di Belletti, al minuto ottantadue.

LO STADIO - Fu il canto del Cigno di una stagione quasi irripetibile, perché l'Emirates Stadium prese, praticamente, tutte le risorse impiegabili per il calciomercato e per i giocatori. "L'unica cosa che so è che quando prendiamo un grande nome viene accompagnato da un grosso salario". E non poteva, non c'erano risorse, la squadra veniva progressivamente smantellata anche dei migliori calciatori, da Henry a Fabregas. Ma il club arrivava comunque, ogni volta, in Champions League, ed era un discreto successo, oltre che un modo per ammortizzare i costi.

IL PALMARES - Tre campionati inglesi, sette coppe d'Inghilterra, 7 Community Shields, oltre 1200 partite giocate con l'Arsenal, più di 900 vinte. A chi gli chiedeva cosa significava arrivare a circa 2000 gare da allenatore, lui rispondeva sempre nella stessa maniera. "2000 notti insonni". Tutti volevano trofei, Wenger più di tutti, ma ha preferito sacrificare parte della sua vita da allenatore per una storia d'amore. Finita oggi. Merci Arsène.

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