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Si ricordi che è ancora un portiere

di Andrea Losapio
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

I dolori del (non più) giovane Buffon. A quarant'anni molti dei suoi colleghi hanno già appeso gli scarpini al chiodo. Praticamente tutti non vivono più un ruolo di primissimo piano, tra infortuni o per la carta d'identità non verde. Buffon, invece, dopo aver convissuto con problemi alla schiena che ne hanno minato il rendimento più di un lustro fa, è riuscito a rinascere dalle proprie ceneri. Come un'Araba Fenice. Per poi spegnersi nelle partite con Svezia e Real Madrid, dove ha ricevuto - con ogni probabilità - le delusioni più cocenti della propria carriera.

Non c'è rivincita, non c'è speranza di riscatto. Le due ultime uscite, Buffon, le ha fatte dalla porta principale, con fragore. Senza vincere mai la Champions League, espulso come Zidane ma senza il carattere fumantino di Zizou. Dando il colpo di grazia alla nostra vituperata nazionale italiana, "abbonata" al Mondiale come da lui stesso ammesso prima della sfida di andata contro la Svezia. Una sorta di Cavaliere Oscuro, rimasto sul campo da gioco un pelo troppo, passando da eroe all'essere il cattivo. Magari non super, nonostante il rosso del Bernabeu rimarrà nella storia del gioco, qualsiasi cosa possa fare Buffon dopo.

Ecco, è il Buffon successivo all'ultima partita di campionato, con il triplice fischio di quel che sarà Juventus-Hellas Verona, a interessare più di quello che fu. Già visto, già archiviato. Perché il mondo cambia e va avanti, mentre lui è diventato dirigente quando ha deciso - perché lo ha fatto da solo - di mettersi in campo fino alla partita con la Svezia. E lo avrebbe fatto fino al Mondiale di Russia, perché molto (troppo) importante per la Nazionale, quasi da ct in pectore. Anzi, diventato tale dopo la riunione dei senatori dopo il pareggio contro la Macedonia al Grande Torino.

Quello che però deve fare Buffon è ricordarsi di essere ancora un portiere, non già un dirigente. Seppur stia studiando come tale per ricoprire un ruolo, che sia alla Juventus oppure in Federazione. Come tale andrebbe giudicato e non come l'ecumenica Cassandra che, negli ultimi mesi, pare essere diventato. Dal Var alle critiche eccessive sul suo ritorno in Nazionale (dopo avere annunciato l'addio nella serata con la Svezia), passando per il voler avere un rapporto più stretto con i giornalisti e finendo con l'arbitro che ha la pattumiera al posto del cuore, che è un killer e un animale. Probabilmente non per aver fischiato il rigore, quello sì, giusto. Ma per avergli negato l'ultima passerella, quella con Cristiano Ronaldo, nella sfida all'ultimo sguardo, tra il miglior giocatore del mondo e il miglior portiere di sempre.

Chi ha letto Osvaldo Soriano si ricorderà di certo del rigore più lungo del Mondo. Chi non lo ha fatto deve colmare la lacuna al più presto, per capire cosa si è perso Buffon nel rosso sventolato da Oliver per "due paroline". Questo modo di autoassolversi è chiaro nei dirigenti della nostra Italia. Buffon, lì, doveva ricordarsi di essere un portiere, emulando El Gato Diaz e mettendosi in porta. Avrebbe avuto il finale perfetto, molto più che con la Svezia. Pur prendendo il gol più doloroso della sua vita.

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