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L'editoriale sulla C - Roma non fu costruita in un giorno

di Tommaso Maschio
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© foto di Luca Marchesini/TuttoLegaPro.com

Che la pazienza non faccia parte di questo mondo è cosa nota, se poi restringiamo il campo al solo calcio allora questa affermazione un po' scontata appare ancora più calzante. In Serie B sono infatti già otto i cambi di panchina in 11 giornate di campionato, in Serie C invece siamo già a quota undici fra esoneri e dimissioni (otto e tre rispettivamente) in dieci giornate, tra l'altro monche per le note vicende, di campionato. Le cose sono due: o si è sbagliato in estate nella scelta/conferma della guida tecnica o non si ha la pazienza di aspettare che un allenatore, magari nuovo, dia la sua impronta alla squadra. Una fretta che mal si sposa alla parola “progetto” troppo spesso abusata a queste latitudini visto che non si può costruire nulla nell'arco di pochi mesi come del resto dice un proverbio, ma anche il titolo di una canzone dei Morcheeba, che recita “Roma non fu costruita in un giorno”.

Ai nostri presidente, chi più chi meno, poco importa però perché alla fine quando le cose non vanno proprio come desiderato è più facile addossare le colpe al tecnico di turno che non fare un'analisi di cosa va e cosa non va e trovare gli aggiustamenti necessari per cambiare la rotta. Una decisione facile, veloce, quasi indolore, anche per placare gli animi della piazza e dei tifosi nella speranza che con la nuova guida tecnica possano arrivare quei risultati utili ad allontanare i nuvoloni neri, salvo poi magari tornare sui propri passi richiamando l'allenatore dell'inizio onde evitare di appesantire ulteriormente il bilancio societario, anche se c'è chi – Pietro Camilli della Viterbese è solo uno dei più noti, ma non l'unico – che fa collezione di allenatori in una stagione arrivando a cambiarne anche 4-5 nel corso dell'annata. Una fretta dettata dal tutto e subito, dalla ricerca del risultato immediato a discapito di tutto il resto che è uno dei grandi mali che affliggono il nostro calcio e che gli impedisce di progredire pienamente. Un vizio che non si limita solo agli allenatori, ma che si allarga – e questo è ancor più allarmante – anche ai giovani calciatori troppo spesso bollati frettolosamente come non adatti a certi livelli. La filosofia del tutto e subito infatti si sposa male con la crescita di un giovane calciatore, che ha invece bisogno anche di sbagliare, di avere passaggi a vuoto per potersi migliorare e per poter maturare e salire di livello. Una filosofia che tra l'altro mal si sposa con i regolamenti che impongono, o comunque incoraggiano, l'utilizzo di giocatori under attraverso premi di valorizzazione vari che spingono le società a far giocare i giovani, ma senza magari credere veramente nelle loro qualità, ma solo per incassare a fine anno qualche spicciolo utile a far respirare le casse societarie. Regolamenti, tra l'altro, che come contraltare hanno l'espulsione di tanti calciatori ancora giovani dal calcio professionistico una volta superata l'età per rientrare nella lista under, e non essere riusciti – per i più svariati motivi – a compiere il salto di categoria.

Come ha scritto nei giorni scorsi l'amico e collega Ivan Cardia abbassare ulteriormente l'età media della Serie C non è una soluzione, anzi rischia di rivelarsi un autogol da parte della Lega. Quel che serve non è costringere le società a far giocare i giovani, ma costruire una mentalità che permetta di creare l'ambiente giusto affinché i giovani, così come gli allenatori, possano lavorare e sbagliare, senza essere giudicati o bocciati al primo passo falso. Un processo molto più lungo e radicale che però alla fine darà i suoi frutti perché da che mondo è mondo, in ogni latitudine, chi ha qualità prima o poi emerge e conquista quanto si merita.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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