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Che calcio stiamo portando avanti? Il razzismo non è solo un problema italiano, ma solo da noi non si puniscono i colpevoli. Gravina, la dignità umana è più importante dei tre punti

di Raimondo De Magistris
Nato a Napoli il 10/03/88, laureato in Filosofia e Politica presso l'Università Orientale di Napoli. Lavora per Tuttomercatoweb.com dal 2008, è il vice direttore dal 2012
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S'è giocato perché come sempre lo spettacolo deve andare avanti. A prescindere dal tipo di spettacolo, la macchina calcio non può fermarsi e quindi, dietro lo slogan "I razzisti e i violenti non ci fermeranno", s'è consumata l'ultima giornata del girone d'andata. Partite andate in scena all'insegna delle solite polemiche e della solidarietà nei confronti di Kalidou Koulibaly, attestati di stima che - almeno da questo punto di vista - dimostrano che sul piano culturale dei passi in avanti sono stati fatti. Perché questa volta nessuno ha parlato di cori che fanno parte del costume degli stadi. O peggio, che la colpa è di napoletani per 'natura' troppo lagnosi. Almeno questa volta, tutti hanno preso atto di cosa sono questi ululati che arrivano dagli spalti: razzismo. Solo razzismo, e null'altro.

S'è giocato, però è davvero difficile parlare di calcio. Perché quando la cronaca nera prende il sopravvento ciò che succede sul campo sembra davvero di poco conto. La questione è culturale, ma soprattutto normativa. Perché la solidarietà si esaurisce presto e se la battaglia non si trasferisce sul piano legislativo tutto si trasforma in mera apparenza. Serve definire in maniera chiara i valori che il calcio vuole andare avanti.
Nell'antica Grecia le Olimpiadi fermavano anche le guerre. Un diktat che nella Storia Contemporanea non ha avuto lo stesso seguito e che anche recentemente è stato violato. Però, da un punto fermo bisogna pur ripartire perché la pace è uno dei valori che da sempre lo sport deve promuovere. Insieme alla competizione pacifica, alla considerazione per l'avversario e al rispetto delle regole. Il rispetto delle regole. Lo ripeto perché quest'ultimo punto, in un periodo storico che sembra lontano anni luce dai principi di de Coubertin, è fondamentale affinché il calcio resti uno spettacolo godibile, e non perda tutta la sua credibilità dietro ai gesti di chi considera lo stadio terreno franco per sfogare i suoi istinti più beceri.

Il problema non è solo italiano. Lo scorso 8 dicembre durante Chelsea-Manchester City l'attaccante inglese Raheem Sterling ha ricevuto insulti razzisti. Non da tutto lo stadio, nemmeno da una minoranza, ma al massimo da 4 tifosi. Nel frattempo il Chelsea, che li ha individuati col sistema di telecamere a circuito chiuso presenti a Stamford Bridge, ha proibito loro l'ingresso allo stadio in attesa che l'inchiesta venga completata. La Metropolitan Police londinese prima di Natale ha interrogato il presunto colpevole e presto arriverà la sanzione. E' invece già arrivata la sanzione per il tifoso del Tottenham che il 2 dicembre, durante la partita che ha vinto l'Arsenal vincere 4-2 il derby all'Emirates Stadium, ha gettato in campo una buccia di banana verso Pierre Emerick Aubameyang. Averof Pantali prima è stato arrestato e poi, dopo la sua confessione, multato e allontanato da tutti gli stadi inglesi per 4 anni.
In Italia, dopo i cori insultanti di matrice territoriale e quelli di matrice razzista rivolti rispettivamente ai giocatori del Napoli e a Kalidou Koulibaly, s'è decido di chiudere San Siro per due partite, una in più per la Curva Nord. Punire tutti per non punire gli idioti realmente protagonisti di quei cori.
Si dirà che era l'unica punizione possibile, perché la normativa attuale e gli stadi italiani non permettono di attuare la responsabilità soggettiva. Risposte che, onestamente, non reggono più. Che hanno stufato. E' possibile che un calcio che spende centinaia di milioni di euro per i cartellini dei giocatori, altrettanti per gli stipendi e poco meno per le commissioni ai procuratori non abbia i mezzi per impianti e telecamere che permettano l'individuazione di veri colpevoli? La risposta è semplice: no. E' tutta una questione di volontà, una scelta politica.

Servono regole e certezza della pena. Sono due punti su cui tutti dicono di non transigere, ma solo a parole. Perché tutti colpevoli vuol dire nessuno colpevole e quando le regole non sono chiare non c'è nessuno a cui si può addossare la responsabilità per una scelta sbagliata. Un esempio? Sempre Inter-Napoli. La partita andava almeno momentaneamente sospesa per i cori razzisti per dare un segnale forte a chi era sugli spalti, una decisione (a differenza della sospensione definitiva) che era nelle facoltà di Mazzoleni, ma che non è stata adottata. Un errore, quindi. Che però Gravina il giorno dopo ha prontamente mascherato, con tanto di monito ad Ancelotti: "Se davvero il Napoli la prossima volta lascerà il campo, la sconfitta a tavolino sarà inevitabile. Ci sono delle regole e vanno rispettate". Dichiarazioni solo teoricamente giuste, perché se le regole non sono chiare, o non vengono fatte rispettare, è giusto che i protagonisti si autotutelino: la dignità umana è molto più importante di tre punti in classifica.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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