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Torino, l’importanza del centrocampo nel gioco di Mihajlovic

di Elena Rossin
Fonte: Torinogranata.it
Il mercato non ha portato gli uomini che servivano per risolvere i problemi della squadra.
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© foto di Marco Spadavecchia

L’errore più grande commesso dalla dirigenza granata in questa sessione di mercato, ma già in quella estiva, è non aver costruito un centrocampo di spessore e questo si è ripercosso sui risultati della squadra. Il gioco di Mihajlovic è offensivo e per la mentalità del tecnico per cercare di vincere una partita, o per mantenere il vantaggio acquisito, si deve aggiungere un attaccante e togliere un centrocampista. Così è, piaccia oppure no. Ormai è conclamato che il Torino ha due facce: quella del primo tempo, quando spesso riesce a mettere in difficoltà gli avversari e magari anche andare in vantaggio, e quella del secondo, quando cambia completamente e subisce chi ha di fronte e parecchie volte finisce per farsi rimontare, quasi sempre nell’ultimo periodo. Mihajlovic ha indicato come causa la mancanza di personalità e ci sta, ma non basta per spiegare che se si stila una classifica alla fine dei primi tempi i granata sarebbero secondi con trentotto punti al pari della Roma e preceduti solo dalla Juventus con trentanove, quindi in piena lotta per lo scudetto, mentre a fine partite scivolano all’attuale nono posto raggiunto grazie ai trentuno punti e lontano nove lunghezze dall’Europa League. La causa sta anche nella qualità dei giocatori.

Durante l’arco delle partite il Torino tende ad allungarsi con il gioco che cala d’intensità, aumentano gli errori nei passaggi e il mutuo soccorso fra compagni scema. Tutto questo evidentemente va a vantaggio degli avversari. Le distanze fra i reparti aumentano ed in particolare il tridente d’attacco continua ad avanzare e rientra poco in fase di copertura, centrocampo e difesa, invece, si arroccano in dietro per fare da scudo al portiere e faticano a pressare l’avversario nella propria metà campo. Così la superiorità numerica in mediana diventa il punto di forza degli avversari che possono supportare meglio i propri attaccanti.

Mihajlovic potrebbe passare dal 4-3-3 a un modulo meno aggressivo, magari un 4-4-2, ma non è nella sua mentalità e grazie anche all’arrivo di Iturbe, invece, schiera la squadra con il 4-2-1-3, che potrebbe funzionare se Falque, Ljajic, Iturbe con davanti Belotti sono in piena forma e non commettono errori, ma se così non è il patatrac è servito. Cairo e Petrachi sanno benissimo qual è la filosofia di gioco di Mihajlovic e dovevano agire di conseguenza in sede di calciomercato fornendogli un centrocampo più adeguato in modo che potesse supportare maggiormente l’urto degli avversari e permettere agli attaccanti di non restare isolati mantenendo le distanze fra i reparti corte e il baricentro alto così anche da alleggerire la pressione sulla difesa. Invece ceduti prima il giovane Aramu e poi il vecchio Vives avanti con Benassi e Baselli, che devono ancora affinare le loro qualità e soprattutto reggere pressione psicologica e fisica, Valdifiori, che da solo deve dare equilibrio, Acquah impegnato in Coppa d’Africa e comunque non sempre convincente, Obi, troppo spesso alle prese con infortuni e i giovani Lukic e Gustafson che sono ancora decisamente acerbi per la serie A. In estate si era parlato di Kucka e durante questa sessione di mercato di Castro, ma questi profili non sono in linea con il pensiero del presidente Cairo che si dice disposto a spendere per giocatori nati dal 1995 in poi e non per altri anche solo venuti al mondo agli inizi degli anni novanta o peggio ancora come Castro che è del 1989 o Kucka del 1987 e che per giunta sono valutati fra gli 8 e i 10 milioni.
Quando ci si affida a un allenatore come Mihajlovic è fondamentale che tutti i giocatori abbiano personalità, che il portiere sia una saracinesca, che i difensori centrali siano alti, alquanto massicci e rapiti, che i terzini spingano e sappiano però anche difendere, che gli attaccanti siano cecchini davanti alla porta e, soprattutto, che i centrocampisti abbiano fisico e qualità tecniche adeguate altrimenti parlare d’Europa è una beffa per chi ascolta.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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