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Serie A a 18 squadre, che assurdità. La Juventus ha qualche piccolo problema, il Milan decisamente di più. Europa, qualcosa è cambiato. Ed è merito di Lazio e Atalanta

di Andrea Losapio
Nato a Bergamo il 23-06-1984, giornalista per TuttoMercatoWeb dal 2008 e caporedattore dal 2009, ha diretto TuttoMondiali e TuttoEuropei. Ha collaborato con Odeon TV, SportItalia e Radio Sportiva. Dal 2012 lavora per il Corriere della Sera
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© foto di Lorenzo Di Benedetto

C'è un momento per parlare di calcio giocato e un altro di politica del pallone. Credere che il secondo sia più importante del primo è, certamente, presunzione. Ma pensare che uno non influenzi direttamente l'altro è, davvero, un errore pacchiano. Abbiamo provato, nelle ultime settimane, a dare una visione diversa del calcio, spiegando quali società sono virtuose e possono permettersi investimenti (poche) e altre che spendono e spandono, avendo sì la possibilità di rientrare ma che spesso si affidano all'azionista di maggioranza. Detto più semplicemente, c'è chi vince grazie ai soldi e che continua a dominare in Italia - la Juventus - c'è chi spende maluccio le proprie risorse (Inter e Roma, in primis, ma anche il Milan) e chi amministra bene (Lazio e Napoli) ben sapendo che il calcio italiano ha bisogno di diritti televisivi e qualificazioni Champions per andare al di là dei 100 milioni di fatturato, sempre al netto delle plusvalenze annuali. Quindi la scelta di Tavecchio, anzi, la dichiarazione che ci potrebbe essere una A a 18 squadre potrebbe anche essere sensata da un lato, ma dall'altro fa sorridere. Lasciando perdere la questione prettamente economica, Tavecchio già due anni fa disse che la Serie A doveva essere "snellita". Salvo poi fare clamorosamente marcia indietro quando le società di A hanno alzato il muro. Perché se è vero che cinque-sei squadre non retrocederanno mai, le altre con 18 club avrebbero ben più di un problema. Tanto che l'intenzione era quella di mettere una sola retrocessione: che senso ha? Nessuno, infatti l'assurdità è dovuta proprio al fatto che siano le società piccole a rappresentare un problema che non verrà mai superato. E se anche fosse, il problema non è tanto nel numero squadre, quanto nella possibilità di giocare per un obiettivo. Già con 7 società - al posto che 6 - in Europa ci sarà un cambio di marcia. Immettere dei playoff per terzultima e quartultima (da giocare con terza e quarta di Serie B) potrebbe completare il quadro: 11 squadre giocherebbero per qualcosa, o meglio, guadagnerebbero - con la Coppa Italia - almeno un minimo di vessillo. Attualmente sono nove, con enormi differenze. Aumentare nuovamente la forbice dei guadagni, sbilanciandolo ulteriormente nelle migliori, è un errore da penna rossa. Ma dopo il rinnovo di Ventura ci aspettiamo di tutto.

Poi, c'è, appunto, il calcio giocato. La Juventus vince, nonostante qualche grosso problema, con lo Sporting Lisbona, dimostrando tutti i limiti di un undici che già li aveva l'anno scorso, mascherati però da una difesa assolutamente impenetrabile e da alcune grandi prestazioni degli attaccanti. Higuain, Dybala e Mandzukic su tutti. Ingiusto non dare meriti a Allegri che è passato dal 3-5-2 al 4-2-3-1 nel momento più complicato, dopo la sconfitta di Firenze. Ma non può sempre andare tutto bene: la sensazione è che la Juventus abbia più di qualche difficoltà, da modificare nelle prossime settimane. E che, forse, il mercato non abbia aiutato, al di là di un Matuidi che nelle prime settimane di campionato è sembrato davvero un giocatore di altissimo livello. Poi il campionato è lunghissimo, siamo solo alla nona giornata (per la Samp che dà 8 gol a Crotone e Atalanta in sei giorni) e Napoli, Inter e Roma assomigliano molto a club competitivi. Non sono la Juventus, questo no, ma qualche grattacapo lo daranno.

Invece qualche, enorme, problema lo ha il Milan. I rossoneri hanno speso 230 milioni di euro senza prendere, mai, un grosso centravanti. È davvero il pomo della discordia? Oppure prendere molti trequartisti, in un modulo che non li prevede, ha aiutato a far saltare il banco? Duecentotrenta milioni sono un'assurdità per non arrivare almeno quarti, soprattutto in un campionato che ti ha visto concludere al sesto posto non più tardi di cinque mesi fa. Il problema è che l'asticella si è alzata, anche per colpa dell'ambiente, e che Montella, come per Mancini dall'altro lato del Naviglio, la pressione sia esasperante. La colpa è pure del tecnico, autore di 8 formazioni differenti in 8 gare di campionato, segno che non sia la chiarezza a regnare, a Milanello.

Infine la questione Europa. Ancora una volta le italiane hanno fatto bene, l'unica sconfitta è quella del Napoli contro il City, a Manchester, pur applaudita da un Guardiola forse troppo clemente per un undici che in questo momento sarebbe fuori dalla Champions League per la sconfitta a Leopoli (dove gioca anche lo Zorya Luhansk in Europa League) contro lo Shakhtar Donetsk. Il trend è indubbiamente cambiato grazie a Lazio, nove punti in tre partite, e Atalanta, sette ma con un calendario molto più complicato. Per chi era presente a Reggio Emilia, giovedì, è stato un vero e proprio spettacolo, con l'Apollon alle corde per 89 minuti, a parte il gol di Schembri, apparso estemporaneo. Peccato che, per il nostro calcio, quest'inversione di tendenza sia arrivata solamente ora.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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