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Roma, D'Agostino: «Capello ci disse "No pasa nada, la Liga está ganada"»

di Alessandro Carducci
Fonte: Vocegiallorossa.it
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© foto di Federico De Luca

Cresciuto nelle giovanili del Palermo, Gaetano D'Agostino approda 16enne nella Capitale. Rimarrà fino al 2001, godendosi la cavalcata dello scudetto. Poi il passaggio al Bari, nell'ambito dell'affare Cassano, il ritorno a Roma due anni più tardi, e il giro d'Italia che lo porterà a vestire le maglie tra le altre di Fiorentina, Siena e Pescara. Nella scorsa estate appende gli scarpini al chiodo e inizia per lui una nuova vita: «La chiamata dell'Anzio Calcio è stata inaspettata – le sue parole in esclusiva per Vocegiallorossa.it – ma mi trovo bene, fare l'allenatore mi piace. Sto studiando tutti i giorni e poi, in campo, porto quello che imparo. Fare un allenatore è un altro lavoro, una cosa completamente diversa rispetto a quando sei calciatore».
Di allenatori D'Agostino ne ha avuti tanti in carriera. Tra tutti, Fabio Capello con cui ha vinto uno scudetto a Roma.

Capello ha detto che si fa fatica a lavorare a Roma e cambiare certe abitudini.
«Roma è una piazza molto esigente. È la città più bella del mondo ma ha pressioni enormi. È una piazza abituata a cercare sempre la vittoria, pur non essendo abituata a vincere in maniera costante. Quando poi si vince si festeggia per 6-7 mesi ed è difficile programmare così la stagione successiva. La ricerca della vittoria è un allenamento costante. Sicuramente tutti i festeggiamenti prolungati, dopo la vittoria del 2001, hanno in qualche modo inciso sul campionato successivo. Fu un grande rammarico. Bisogna però ammettere che vincere ed essere osannato a Roma è impagabile».

Ci puoi raccontare qualche aneddoto della stagione dello scudetto?
«Ricordo in particolare una frase di Capello. In quel momento la Juventus si stava pericolosamente avvicinando: così lui un giorno fermò l'allenamento, ci radunò e ci disse una frase che aveva sentito a Madrid, quando il Barcellona si stava avvicinando al Real Madrid: "No pasa nada, la Liga está ganada", ("Non succede nulla, il campionato è vinto"). Sarà stata la frase in sé o il modo con cui la pronunciò ma mi ricordo che ci caricò parecchio».

Ci puoi raccontare l'anno dei 4 allenatori?
«Non funzionò nulla, ci fu una confusione totale. Dentro lo spogliatoio non ci capivamo nulla, ogni due mesi cambiava l'allenatore. Io andai a Messina per non rischiare di bruciarmi la carriera anche perché giustamente i tifosi contestavano e fischiavano. Con Delneri giocavo quarto a sinistra. Gli dissi che, se proprio avessi dovuto prendere i fischi, avrei preferito farlo giocando nel mio ruolo».

Fino a quando può giocare Totti?
«Gli anni passano, è vero, ma la sua dote migliore è la velocità di pensiero e lui può sopperire al fattore fisico in questo modo. Non deve dimostrare niente a nessuno, forse a se stesso di poter fare ancora fare delle grandi partite a 40 anni. Nessuno è come lui per velocità di pensiero. Dzeko si è ripreso anche grazie alle giocate di Totti, un po' come faceva Delvecchio giocando tra le linee: Totti ti mette in porta e può giocare ancora qualche anno».

Spalletti è l'uomo giusto per la Roma?
«Mi hanno raccontato che si fa sentire parecchio negli spogliatoi e guai a farlo arrabbiare sull'impegno in campo. Per come gioca a calcio può essere l'uomo giusto ma bisogna avere pazienza e programmazione. Bisogna seguirlo e comprare giocatori adatti al suo modulo. In questo caso può vincere e togliersi soddisfazioni».

In quale ruolo bisognerebbe intervenire a gennaio?
«Servirebbero un vice Dzeko, un vice Salah e in difesa un vice Manolas. Ci vorrebbe poi un giocatore a centrocampo che ti possa risolvere le partite. Uno bravo tecnicamente e bravo balisticamente. In avanti prenderei Payet, è un mio pallino».

Che ne pensi di questa prima parte di campionato di Strootman?
«Non cerca di strafare ma si mette a disposizione. Non si mette in mostra, non gioca per sé ma per la squadra. Sono segnali importanti, questi».

Il confronto con la Juventus?
«Chi non ha la mentalità per vincere deve andare via. Anche dei semplici buoni giocatori alla Juve hanno vinto perché si sono adattati alla mentalità del club bianconero. Sotto il profilo tecnico non manca nulla e, anzi, la Roma gioca meglio. La società dovrebbe dire la verità, dire che entro 4-5 anni programmando si può entrare nella top 5 in Europa. Fare la rincorsa alla Juve ogni campionato è deleterio. Non bisogna vivacchiare ma programmare».

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