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Premier, la delusione: Everton, quanto è dura la vita dopo Lukaku

di Mattia Zangari
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

"Disappointment" è la parola più in voga nella parte blu della Merseyside per fotografare l'avvio di stagione sportivamente drammatico dell'Everton. Il filo rosso che collega i momenti più scuri che chiari dell'inizio d'annata dei Toffees è riconducibile a quel sentimento di frustrazione della squadra che in Inghilterra è maggiormente al di sotto delle sue possibilità.
Anche più del Crystal Palace, che pure ha polverizzato tutti i record negativi con la partenza peggiore di ogni epoca per il calcio inglese (7 sconfitte in altrettante gare e zero gol fatti).
Ma se per le Eagles non sono mai esistite reali aspettative, non si può dire lo stesso per la squadra di Rambo Koeman, qualificatasi partendo da lontano in Europa League e poi aiutata da un esordio non certo proibitivo con lo Stoke City, dove peraltro è arrivata la vittoria illusoria grazie al gol del figliol prodigo Wayne Rooney.
Un'allucinazione dolce che è durata fino all'82' del match dell'Etihad Stadium contro il Manchester City, oggi capolista, ovvero prima della rete di Sterling che ha fissato il risultato sull'1-1. Pari di platino da qualsiasi prospettiva lo si guardi, a maggior ragione quando ne si parla oggi col senno del poi.
Dopo quella sfida, infatti, l'Everton ha visto le streghe contro il modesto Hajduk Spalato prima di benedire un gol antologico del neo arrivato Sigurdsson che ha rimesso sui binari giusti il passaggio del turno nell'Europa che conta un po' meno, ma che comunque si cuce alla perfezione allo status del club. I prodromi della crisi sono stati crudelmente certificati dal quartetto di impegni successivi alla trasferta in terra croata: Jagielka e compagni si sono arresi senza l'onore delle armi a Stamford Bridge, cedendo dopo 40' senza nemmeno combattere.
Sconfitta preventivabile, si dirà, come quella patita per mano del Tottenham 13 giorni più in là: la disfatta in quel caso è stata ancor più ampia nelle dimensioni, 3-0 nel segno dello scatenato Kane.


Quel che fa specie, al di là del risultato in sé, è l'apatia nel reagire alle varie situazioni negative e il non saperle prevenire quando si fanno minacciose: sensazione autenticata in maniera plastica dal tris capitato tra capo e collo contro l'Atalanta al Mapei Stadium. "Ci hanno dato una grande lezione", dirà poi a fine partita Koeman. Una lezione a cui seguirà l'impatto doloroso con la dura realtà sul prato di Old Trafford, dove il terzo dei gol quattro totali incassati contro lo United porta la firma dell'ex Romelu Lukaku. L'attuale capocannoniere del torneo che il club ha deciso di sostituire con l'operazione nostalgia Wazza, l'acerbo Sandro Ramirez, oltre allo strapagato Sigurdsson, che non è propriamente un goleador. Poi, a dirla tutta, con 90 milioni incassati dalla cessione monstre del belga, l'Everton ha puntellato la difesa, comprando Pickford e Keane, e rinforzato il centrocampo con Klaassen. Nomi che finora hanno avuto un impatto zero sulle prestazioni della squadra che ha gioito in Premier solo due volte su sette (il 3-0 al Sunderland ha interrotto per un attimo crisi d'identità).
Un rimedio solo superficiale per chi, dopo essersi fatto riprendere sul 2-2 dall'Apollon Limassol a due dal gong e battere in casa dal sorprendente Burnley, è corso veloce a stendersi preoccupato sul lettino dello psicanalista.
Una seduta lunga come la pausa dedicata alla nazionali che Koeman si augura sia servita a riordinare le idee prima della gara salvezza contro il Brighton, spaventosamente appaiato in classifica a due mesi dal kick-off del campionato.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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