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Pepe, il primo gregario di Conte. Con un futuro da dirigente del Pescara

di Ivan Cardia
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Dal campo alla scrivania: questo il percorso di Simone Pepe, che a fine stagione diventerà team manager del Pescara, la squadra con la cui maglia ha scelto di appendere gli scarpini al chiodo. La città che gli consente di fare la spola con Roma, da costa all'altra d'Italia. Amato dai tifosi di Udinese e Juventus, un po' meno da tutti gli altri, Pepe è stato il primo "uomo ovunque" dei bianconeri degli ultimi anni. Antonio Conte gli ha costruito attorno il ruolo di quasi indispensabile, che poi toccherà anche a giocatori come Giaccherini e Padoin. Il gregario dal palmares ricco, ma con tanti meriti. Mai profeta in patria: cresciuto nelle giovanili della Roma, a 18 anni comincia il suo giro d'Italia. Attaccante esterno, di cui molti osservatori hanno spesso sottovalutato la capacità di andare a rete. Va in doppia cifra a Teramo e Piacenza, nel 2006 lo chiama l'Udinese, che però nella prima stagione lo gira in prestito al Cagliari. Annata positiva, non da strapparsi i capelli, i friulani lo richiamano alla base. Con l'Udinese gioca tre stagioni, in crescendo: 3 gol nella prima, 4 nella seconda, 7 nella terza. Esordisce in Coppa UEFA, nel 2010 lo chiama la prima Juve di Marotta e Paratici. È l'anno di Delneri, il cui 4-4-2 sembra costruito per Pepe; non è un anno fortunato per la Vecchia Signora, che chiude settima in campionato. L'esterno romano mette comunque a segno 5 gol: la Juve lo riscatta. Poi arriva Conte e lì cambia tutto: esterno nel 4-4-2 o nel 3-5-2, spesso seconda punta, Pepe fa tutto per il salentino, capace di esaltarne le qualità.

Nello spogliatoio è uno dei pilastri del gruppo, in campo arrivano 6 gol e gli sfottò sono dimenticati. Arriva, soprattutto, il primo Scudetto. È l'apice della sua carriera, poi inizia il calvario. L'inchiesta sul calcioscommesse lo sfiora ma viene assolto, i problemi sono altri, fisici. In due anni vince due Scudetti ma colleziona appena tre presenze in Serie A, a causa di numerosi problemi fisici, soprattutto di natura muscolare. A inizio 2015 torna abile e arruolabile, mette a referto anche 12 presenze fino al termine della stagione. Ma è tutt'altra Juve: non più quella battagliera di Conte, bensì quella più riflessiva e anche più forte di Allegri. I tifosi lo guardano con simpatia, ma il bianconero non è più la dimensione di Pepe. A Verona, al Chievo, va benino: i tempi d'oro sono lontani, Maran a un certo punto decide di giocare col trequartista, ma è una comparsa più che utile nella stagione 2015-2016 dei clivensi. A Pescara, quest'anno, va un po' tutto male: dopo un buon avvio gli abruzzesi si perdono, la retrocessione da spauracchio diventa piano piano certezza. Pepe non riesce a fare la differenza, gli acciacchi si fanno sentire, anche contro la "sua" Juve andrà in tribuna. E a fine stagione le scarpe andranno sul classico chiodo: l'annuncio lo ha dato lui stesso ieri, un futuro da team manager lo aspetta. Per imparare un altro mestiere, ma restare sempre a contatto con quella palla che ha saputo dare tante soddisfazioni a chi saputo rincorrerla pur senza essere un fenomeno.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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