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Inter: tango, Lepra, ed il folle paradosso albiceleste

di Gianluigi Longari
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El Colo, el Tanguito e Maurito. Sembra l’inizio di una barzelletta in salsa albiceleste, ed invece racconta la bella realtà che l’Inter di Pioli sembra essersi indirizzata a scrivere nelle ultime settimane. Una squadra all’irresistibile ritmo di tango, che trova nella città del futbol per eccellenza, Rosario, le sue radici più profonde. Da lì si dispiegano le vite dei tre protagonisti di questa storia, e da quel modo spensierato ma maledettamente competitivo di fare calcio si sta sviluppando il momento più felice della stagione dei nerazzurri. El Colo è Ansaldi, chiamato così in patria per il colore rossastro dei suoi capelli e tornato nelle ultime settimane a mettere in mostra con innegabile continuità il repertorio che, anni addietro, aveva fatto di lui uno dei terzini più corteggiati del pianeta. Discese costanti, piedi nobili, finte e controfinte. Uno spettacolo per chi lo osserva, ed una fortuna per chi, come Pioli, può finalmente contare sul suo rendimento ad alto livello. Un avvio di stagione complicato da qualche problema fisico di troppo e dall’instabilità tattica dei milanesi sembra averlo sacrificato sull’altare dei sacrificabili, ed invece la gara contro l’Atalanta lo ha consacrato in tutta la sua nobiltà calcistica. Un lignaggio cui appartiene per definizione anche Ever Banega, el Tanguito di cui sopra. Indiscutibili le qualità tecniche e di visione di gioco. Trattasi di fuoriclasse.

Ciò che sembra essersi modificata in maniera decisiva e definitiva è allora la partecipazione e l’appartenenza dell’ex giocatore del Siviglia al progetto. Dopo settimane difficili e qualche panchina indigesta, Banega si è preso di forza ma con immensa classe un ruolo da protagonista assoluto, indispensabile nella sua splendida maniera di essere decisivo. Non è un caso che a prescindere dal minutaggio, in Argentina non abbiano mai pensato di poter fare a meno di lui. E qui iniziano le dolenti (per l’Argentina) note. Perché come è parso evidente fin dal principio, Maurito è Mauro Icardi, e nella sua vita calcistica sembra non riuscire proprio a smettere di segnare ed essere assolutamente decisivo e determinante. Caratteristica indispensabile per qualsiasi squadra possa vantare il privilegio di poterlo schierare, ma che sembra paradossalmente non interessare a chi le decisioni in Argentina sarebbe chiamato a prenderle, ovvero il ct Bauza. Il commissario tecnico albiceleste ha di recente confermato una gerarchia abbastanza paradossale nella quale il vice capocannoniere della serie A non rientra per qualche incomprensibile congiunzione astrale o chissà quale cervellotico ragionamento. In 117 partite in nerazzurro ha messo in fila 68 gol, con una media che parla chiaro, cui si aggiunge il bottino di assist ai compagni e che non ha bisogno di ulteriori commenti, numeri che corrispondono ad una sola presenza in Nazionale nel 2013, peraltro siglata solo per scongiurare uno scippo assaporato da parte della nostra, di Nazionale, ma mai concretizzato. Un paradosso di cui evidentemente l’Inter e Pioli ringraziano, ma sul quale il mondo del calcio non può che continuare ad interrogarsi. Pioli, intanto, se la ride, e probabilmente un po’ di “anima leprosa” (tutti e tre i Rosarini sono tifosi del Newell’s Old Boys) avrà contagiato anche lui.


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Lunedì 31 Dicembre 2018
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