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Inter, non c’è tregua. Il diktat di Spalletti che varca gli oceani

di Alessandro Rimi
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

"Il triplice fischio ha indicato la fine della partita...e l’inizio di quella successiva". Le quindici improvvise parole di Spalletti, postate sul profilo Instagram nella mattinata di ieri. Diciassette, in realtà, se alleghiamo pure gli hashtag #senzatregua e #amala. Già, senza tregua. Binomio che il tecnico di Certaldo ha fatto passare a più riprese nel corso delle ultime uscite nerazzurre. Lo stesso che, non di rado, tiene a ricordare a chi è rimasto ad Appiano oltre che, soprattutto, a chi è andato a farsi un giro (più o meno piacevole) per il mondo, oltre gli oceani. Non c’è tregua per chi è costretto a correre dieci volte più degli altri. Ad inventare più degli altri. E anche a vincere più degli altri. Perché sì, battere il Toro avrebbe di certo scatenato un ulteriore turbinio di consapevolezze e motivazioni. Questo, Lucio, lo sa bene. Perché le altre, quelle più attrezzate e rodate, rimediano in un lampo (vedi Juventus). Per l’Inter non è detto che sarà così. Chissà quante litanie per quei sette abili e arruolabili rimasti ad Appiano - Handanovic, Padelli, Berni, Ranocchia, Santon, Dalbert e Borja Valero. Il condottiero nerazzurro è uno di quelli che, in casi come questi, quando a rimanere sono in pochi, impartiscono estenuanti lezioni individuali a chi rimane indietro con il programma. Che tale (s)fortunato sia Dalbert? Lo speriamo. Tutti. In fondo parliamo del terzino più pagato di sempre in Serie A. Dovesse andar male, non lo giustificherebbero neppure i genitori. Martusciello ci sta lavorando senza sosta. E noi, signori, di Martusciello ci fidiamo.

Dopo tre sedute mattutine - palestra, tattica, fase difensiva e tanto lavoro atletico - i nerazzurri potranno godere di un po’ di riposo. Martedì si tornerà a lavorare in maniera regolare ad Appiano, in attesa del rientro dei nazionali. I croati e Karamoh saranno i primi a sbarcare a Milano. Ventiquattro ore dopo sarà la volta degli azzurri. Alla Pinetina si può sorridere: dei tredici convocati dalle rispettive patrie, quasi il 70% ha giocato dal primo minuto e, guarda un po’, c’è pure chi l’ha buttata dentro: Joao Mario e Perisic. Ivan non la smette di migliorare. Per certe giocate esibite contro la Grecia viene da strabuzzarsi gli occhi. Come a voler dire: “aspetta, me la fai rivedere”? Bene, anzi strabene, anche il suo collega Brozo. Prestazione, la sua, che qualche messaggio subliminale direzione Appiano lo nasconde, senza ombra di dubbio. Squadra che vince non si cambia. Sì, ma dopo il primo pari a San Siro che si fa? Grattacapi, comunque, ben accolti da Spalletti. Risposte secche a chi punta il dito contro quella copertaccia terribilmente corta.

E non si sono ancora visti i pargoletti. O meglio, qualcuno si è visto, anche se non quanto ci si aspettava. Karamoh, ad esempio. Entra a San Siro, porta il Genoa all’inferno e lui quasi non riesce a riemergere. Nel senso che il paradiso del campo non lo ha visto più neanche col binocolo. Il suo secondo momento, però, arriverà. La Beneamata crede fortemente nel francesino. Lucio, Ausilio, Sabatini. Tutti ci credono. La forza con cui lo hanno voluto a Milano, sul gong di mercato, un po’ ce lo fa intendere. Il suo acquisto rientra chiaramente nella politica young first di Suning. Non a caso in estate sono stati spesi 25 milioni per nati dopo il ‘98: Colidio, Odgaard, Zaniolo e Bastoni, oltre all’ex Caen. E non è che l’inizio. Il tandem Samaden-Baccin pare abbia individuto in Maroni, centrocampista diciottenne del Boca Juniors, un prossimo possibile colpo. D’altra parte, l’affondo di gennaio scorso su Gagliardini si colloca perfettamente nella linea operativa di Zhang. Un’Inter sempre più verde, insomma. Come il suo capitano.

Icardi sta pian piano smaltendo l’infiammazione al ginocchio destro e, con ancora un po’ di fisioterapia e lavoro differenziato, tornerà come nuovo. Domenica sarà regolarmente in campo contro l’Atalanta. Il ct dell’Argentina, Sampaoli, ha capito che il ragazzo avrebbe anche accolto la chiamata della selección se l’Inter non avesse scritto sul bigliettino recapitato “no, grazie”. In fondo, undici gol in undici match di A (di cui otto al Meazza), doppia cifra per il quarto anno filato, due doppiette, una tripletta nel derby, una rete ogni 2,56 conclusioni in porta (a Messi ne servono tre volte di più), probabilmente meritano maggior protezione dei licaoni. Da qualche ora, poi, sappiamo pure che se in Baviera dovesse uscire Lewandoski, si virerebbe senza pensarci troppo su MI9. Basta questo per far scattare l’allarme? Macché. Maurito, come forse gli occhi arguti avranno notato, è interista fino al midollo. Tra i soldati di Spalletti è il primo a non darsi mai tregua. Lavora affinché il motivetto delle grandi sfide torni laddove manca da una vita. Dei segnali esterni può anche farne a meno, lui. Si tempra e si carica da solo. Perché l’ultimo triplice fischio aveva indicato la fine della partita ma, per il ragazzo di Rosario, in quel preciso istante, iniziava già quella successiva.

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