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Pirlo is a joke: da incompreso a Maestro, saluta l'ultima stella tricolore

di Ivan Cardia
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

"Wow! Pirlo is a joke". 25 giugno 2012, l'Italia batte l'Inghilterra ai rigori nei quarti di finale di Euro 2012, la copertina è il rigore di un certo Andrea Pirlo. Che, spiegherà qualche tempo dopo, voleva soltanto mettere al suo posto Joe Hart e tutti gli inglesi. Il virgolettato, per inciso, è di Michael Owen, uno che tifava Inghilterra e come tutti i sudditi di sua Maestà si è dovuto inchinare alla grandezza calcistica del regista bresciano.

Incompreso, a inizio carriera. Pirlo muove i primi passi nelle giovanili del Brescia, e con le Rondinelle esordisce in Serie A. Il talento è indiscusso, e Pirlo riesce a mettersi in mostra. Persino nel ruolo che poi si rivelerà sbagliato, perché a inizio carriera il classe '77 di Flero agisce da trequartista. Lo compra l'Inter nel '98, ma in nerazzurro non trova spazio: da trequartista, non ha la velocità e il senso del gol che vantano suoi coetanei. Basti pensare a Del Piero o Totti. Scende, in senso geografico e di caratura della squadra, alla Reggina, dove alla corte di Colomba fa ancora la differenza. Tanto da meritarsi di nuovo l'Inter, dove ancora resta nell'ombra.

Nel 2001, la carriera di Pirlo è a un bivio: l'Italia lo aspetta al varco, da numero 10 non riesce a imporsi. La svolta arriva a gennaio: torna al Brescia, in avanti c'è un certo Roberto Baggio. Carlo Mazzone ci prova: lo fa giocare 30 metri più indietro, da playmaker basso. Nasce il Maestro, e Pirlo non si sposterà più da quel ruolo. In estate l'Inter ha la brillante idea di cederlo al Milan, per la meteora Dražen Brnčić più un conguaglio economico. Il resto è storia recente: Ancelotti lo conferma e perfeziona come regista, Pirlo guida i successi rossoneri per dieci stagioni, in cui vince praticamente tutto. Compreso il Mondiale, da faro della Nazionale che nel 2006 tinge d'azzurro il cielo sopra Berlino. Nella stagione 2010-2011 qualcosa sembra rompersi: qualcuno accusa il rapporto con Allegri, qualcuno getta la croce sul centrocampista. Gli viene preferito Van Bommel, la parabola sembra giunta alla fine.

E poi arriva la Juve. Reduce da due settimi posti, il club bianconero punta su Antonio Conte e sull'occasione a parametro zero chiamata Pirlo. Ed è subito trionfo: col tecnico salentino e poi con lo stesso Allegri sono quattro scudetti in quattro anni, più una finale di Champions League. Il giocatore che sembrava finito rinasce e cambia il volto di una squadra non più vincente come il suo passato richiederebbe. Rinasce Pirlo, rinasce la Juve. Nel 2016 l'ultimo viaggio: New York City FC, andiamo a insegnare calcio agli yankee. Ieri, la chiosa: un po' in sordina, subentrato nel secondo tempo di un'inutile vittoria su Columbus Crew che non vale il passaggio del turno. Silenzioso come sempre, ma nel boato dello Yankee Stadium.

Come per Del Piero, si chiude lontano dall'Italia la carriera di uno dei grandi campioni del nostro calcio. Pochi mesi dopo Totti. A inizio carriera, Pirlo era considerato un alter-ego dei due numeri 10 che per un decennio si sono contesi il ruolo di giocatore più forte d'Italia. Lui, quella rivalità l'ha semplicemente dribblata, spostandosi più indietro, a dettare i tempi di gioco, fare un lancio lungo millimetrico o magari regalare un pallone filtrante. Magari, a Fabio Grosso contro la Germania. "È finito il mio viaggio", scrive Pirlo su Twitter. È stato un piacere soprattutto per noi, Maestro.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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