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Torino, United e Chapecoense: lo scherzo del destino per la vittoria

di Andrea Losapio
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

C'è un momento in cui capisci cos'è la vittoria. Se sei una grande squadra, capita molto spesso. Se sei il Palmeiras, dopo ventidue anni di stenti e delusioni, lo fai contro il Chapecoense, riuscendo a vincere il Brasileirao dopo troppe stagioni di distanza dall'ultimo trionfo. Verdao contro Verdao, stessa maglia, uguale voglia di vincere. Con la differenza che i Furacão do Oeste nel 2009 erano solamente nella quarta divisione brasiliana, ad annaspare. Invece il futsal femminile era addirittura campione del mondo, per capire qual è la grossa differenza che viveva Chapecò, città dello stato di Santa Catarina di poco meno di duecentomila abitanti, zona di frontiera rispetto agli altri stati federali del sud del Brasile.
Da lì in poi una ascesa quasi irresistibile, la Serie C fino al 2012, l'opportunità di giocare il Brasileirao conquistata l'anno successivo con una sola stagione nella seconda lega brasiliana. E poi i campionati di Santa Catarina, vinti nel 2011 e, appunto, nel 2016. Perché il Chapecoense, dopo l'arrivo nella massima serie, si è affermato come una delle migliori squadre del Sudamerica, tanto da arrivare alla finale di Copa Sudamericana che si sarebbe giocata contro l'Atletico Nacional. Condizionale d'obbligo, pure un po' macabro, perché l'aereo che trasportava la società di Chapecò si è schiantato nella notte a poca distanza da Medellin, luogo dell'ipotetico atterraggio, con un bilancio ancora incerto ma che dovrebbe contare 76 morti e solamente cinque sopravvissuti. "Se morissi oggi, lo farei felice", sono le parole di Caio Junior, tecnico del Chapecoense, dopo la vittoria nelle semifinali di Copa Sudamericana di cinque giorni fa. Di più, il Verdao aveva vissuto, appunto, da attore non protagonista il raggiungimento del Brasileirao del Palmeiras solamente domenica, con l'allenatore - che nel corso della sua carriera aveva allenato anche il Vitoria Guimaraes - che aveva aggiunto.

"Forse è un segno, forse Dio vuole vedere cosa significa vincere, quale gusto ha la vittoria".
Non è la prima delle tragedie riguardanti il calcio e, probabilmente, non sarà l'ultima. Indimenticabile e indimenticato lo schianto di Superga, il quattro maggio del 1949, quando i granata stavano per raggiungere l'ennesimo Scudetto e andarono a giocare in Portogallo, contro il Benfica, una partita amichevole. Poi lo schianto di Monaco di Baviera, con il Manchester United di Matt Busby che aveva appena raggiunto il traguardo delle semifinali di Coppa Campioni grazie al pareggio contro la Stella Rossa Belgrado ma con l'aereo che si schiantò in fase di decollo: i Busby Babies furono decimati, a parte Bobby Charlton, Bill Foulkes e Harry Gregg, oltre a vari altri. Poi Paxtakor e Alianza Lima. Infine la nazionale dello Zambia, vicina alla qualificazione per il Mondiale 1994 (quello della Nigeria, stroardinaria protagonista contro Argentina, Bulgaria e, in parte, Italia), con un solo sopravvissuto: Kalusha Bwalya, il giocatore più rappresentativo, perché in quell'occasione avrebbe dovuto raggiungere Dakar e il Senegal con mezzi propri.
Tutto rende più amaro, la dietrologia possibile racconta di un sogno troncato da un volo commerciale, da chi non ha autorizzato il charter dal Brasile alla Colombia per la squadra. Il fatto che l'aereo commerciale avesse una autonomia di 2965km e che sia volato, prima di schiantarsi vicino Medellin, per 2975. Che cinque giorni prima tutti esultassero nello spogliatoio. Anche che l'Atletico Nacional chieda di assegnare la Coppa ai propri avversari. E allora, per usare una frase che a Torino è particolarmente cara, il Chapecoense non è morto. È solamente in trasferta.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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