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Guarin se ne va e il Mancio lo schiera: uno dei peggiori in campo, mentre l'Inter non può continuare così. Juve, grandissima occasione ma la rosa è incompleta: dipende dal Real Madrid. Spalletti bis, ma senza rivoluzione

di Andrea Losapio
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© foto di Lorenzo Di Benedetto

L'Inter ha un grosso problema. Facciamo due. C'è chi dipende dai gol dei propri centravanti. E chi è costretto a sperare che Handanovic non prenda nemmeno un minimo di febbre, altrimenti sono dolori. Lo si è visto in parecchie partite, una volta di più con l'Atalanta a Bergamo. Sloveno praticamente insuperabile dagli avversari (ci ha pensato un disastroso Murillo a portare in vantaggio i cugini nerazzurri), migliore in campo di gran lunga, mentre il proprio collega, a novanta metri di distanza, sta portando i documenti all'ufficio di collocamento. Se il primo problema è, in realtà, una risorsa, il secondo è solo un grosso punto interrogativo. Perché in quattro partite l'Inter ha segnato solamente due gol, uno con l'Empoli e l'altro con un autogol - sfortunato quanto maldestro - di Toloi. Difficile pensare che un simile ruolino possa garantire una qualificazione in Champions League, figuriamoci sperare nello Scudetto. Eppure per sedici giornate Mancini è stato in vetta alla classifica: anche qui è complicato credere che sia solo fortuna, probabilmente la realtà sta nel mezzo. L'Inter è una buona squadra, ma deve giocare da provinciale perché, di fatto, non può fare altro. I campioni che decidono le partite ci sono: a Bergamo è mancata la concretezza nei sedici metri. Non solo l'ultimo passaggio, ma il tiro dal limite. Guarin solitamente ci prova, ieri solamente una volta - deviata - ed è stato uno dei peggiori in campo. Nel post partita Mancini si è lasciato scappare come abbia chiesto di andar via: perché schierarlo? Il centrocampo dell'Inter avrebbe bisogno di un organizzatore di gioco, al di là della presenza di Medel, comunque positivo nei primi mesi. L'equivoco è Kondogbia al posto di Yaya Touré: servirebbe un calciatore fisicamente all'altezza del Mancio, ma con piedi più educati. Sebbene il francese possa diventare uno dei migliori a livello mondiale.
Chi lo è già, e a buon titolo, è Paul Pogba. Che, a due settimane dalla scadenza del mercato, potrebbe pure subire l'assalto del Real Madrid.

A Zidane piace, non è una novità, e per un anno e mezzo - fino all'estate del 2017 - non potrà vestire la camiseta blanca, a meno che non si trovi un accordo a partire da subito. Complicato migliorare la rosa strapagando un centrocampista che non può essere utilizzato in Champions League in questa annata, altrettanto pensare che, in caso, non possa scegliere Barcellona. Dove, d'altro canto, sarebbe il padrone assoluto del centrocampo. Perché Iniesta e Busquets sono due super campioni, ma la nuova filosofia del Barça seguirebbe il francese. Un po' come Neymar, in attacco, da blindare dagli assalti di City e Paris Saint Germain. Diverso è il discorso per Alvaro Morata: può chi non è titolare - pienamente almeno - della Juventus esserlo del Real Madrid? No. Anche perché, pure lui, non sarebbe impiegabile in Champions. E poi è sempre possibile che il Real Madrid decida di riscattarlo con la famosa recompra e cederlo un anno in prestito: Arda Turan poteva finire al Galatasaray, ma il Barcellona ha rifiutato ogni destinazione perché da gennaio in poi sarebbe stato un perno della propria squadra. La Juventus non può essere altro che la candidata principe allo Scudetto, non fosse altro per l'abitudine alla vittoria che in questi anni Conte ha trasmesso e che Allegri ha cavalcato nel migliore dei modi. Per vincere in Europa manca qualcosa, almeno un centrocampista di livello mondiale e forse un'alternativa a Dybala, unico attaccante dalle caratteristiche complementari, a meno che non si voglia considerare Morata come seconda punta.
A Roma c'è chi pensa che l'aver esonerato Garcia sia la panacea di tutti i mali. Sicuramente Spalletti per almeno due anni e mezzo sarà portato in palmo di mano, con la pressione che si allenterà inesorabilmente (un po' come per Mancini all'Inter dell'immediato dopo Mazzarri) ma la squadra rimane quella che dovrebbe lottare per il campionato, e non è nemmeno troppo distante: virtualmente sette punti, in caso di vittoria contro l'Hellas Verona. Certo, di mezzo ci sono altri club che corrono - quasi tutti - e un Napoli che continua a essere trascinato da Gonzalo Higuain, sempre più alieno nelle sue prestazioni. Il problema che Spalletti dovrà risolvere è: può rimanere senza un Gervinho (ambito in Cina ma non solo) che finora è stato il miglior giocatore della Roma del girone d'andata? E riuscirà a risollevare la media gol di un Dzeko che assomiglia più a quella di Bartelt che non di Batistuta? Perché nella sua prima esperienza in giallorosso Spalletti si era reso celebre per la capacità di schierare una squadra senza un vero numero nove, sfruttando ripartenze e un falso nove che, ai tempi, non era certo consueto come ora.
Chiosa finale sul Milan: che senso ha avere un allenatore che, da giugno a settembre, viene incensato dalla stampa specializzata (tutta, nessuna esclusa) sui metodi di allenamento da sergente, sull'aria nuova che tira a Milanello, sugli acquisti che fanno virare rotta, se poi, nei fatti e nelle intenzioni, la sfiducia arriva già a ottobre, quando i punti dalla vetta sono pochi, e la possibilità di risalire c'è tutta? Semplicemente i rossoneri non esistono più, come società. Brutto da dire, per il club che ha vinto di più in vent'anni, almeno fino al 2007. Ma non si vive di soli ricordi e la programmazione dovrebbe andare al di là di tre mesi non perfetti. Un discorso che andrebbe fatto, più o meno, ogni stagione.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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