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FOCUS TMW - Siviglia, favola duratura. Che fattura meno del Leicester

di Andrea Losapio
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Nel 2000 c'è stata una rivoluzione copernicana, a Siviglia. In difesa c'era Marchena, a centrocampo il greco Tsartas e davanti Marcelo Otero. Questi nomi - non troppo altisonanti a dir la verità - portarono direttamente nell'inferno della Liga Adelante i biancorossi, con il Betis che poteva sbertucciare i cugini dall'alto delle spese pazze per Denilson, e poco importava se il brasiliano scappava verso il Flamengo, per poi ritornare peggio di prima. Nel 1999 si era appena ritirato il portiere Monchi: a trent'anni, almeno per un giocatore non di movimento, è quantomeno atipico. Salvo poi diventare il direttore sportivo del Siviglia.

I PRIMI ANNI - Tra il 2004 e il 2010 il Siviglia ha ceduto moltissimi giocatori. Non c'era il financial fair play, la squadra raggiungeva le vette del calcio europeo anche avendo grandi campioni. E un acume decisamente fuori dal comune, perché nonostante Del Nido fosse presidente restio a spendere soldi, era decisamente ancor più restio a vendere i propri gioielli. Reyes, Sergio Ramos, Julio Baptista, Dani Alves, Seydou Keita, Christian Poulsen, Sebastien Squillaci e Adriano valeva 143 milioni di euro. Ed erano arrivate già due Europa League, le finali di Supercoppa Europea (una con il Milan) ma con un modello totalmente diverso. Nel 2009-10 arrivò il quarto posto nella Liga, la vittoria nella Copa del Rey e l'ottavo di Champions League, perso incredibilmente contro il CSKA Mosca (poi buttato fuori dall'Inter di José Mourinho). Totale 99 milioni e spicci di euro, un bilancio praticamente incredibile.

LA DERIVA FINANZIARIA - Nel 2010 arrivavano Alexis e Tiberio Guarente, più Medel e Rakitic in inverno. 10 milioni i primi due, poco meno di 5 gli altri. Risultato: niente Champions quell'anno, perdendo contro il Braga nei gironi, salvo poi non qualificarsi nemmeno nelle coppe. Così, a fine 2012, il presidente Del Nido non aveva altra idea che incominciare a guardare in faccia la realtà. Abbassando un monte stipendi enorme che era di circa 90 milioni di euro - fino a 60, sempre meno - e dando un mandato preciso al proprio direttore sportivo, Monchi, appunto. Riuscire a rimanere nei limiti del fair play, anche perché i quindici milioni di euro di perdite andavano a sommarsi agli altri, imponendo un debito di ottantacinque. Insomma, il Siviglia era ai limiti del fallimento e solo una decrescita (infelice) poteva salvare il club. Anche perché gli unici asset "positivi" erano Negredo, Jesus Navas e Ivan Rakitic.

PLAYER TRADING - Come in Football Manager, nel 2012-13 il Siviglia ripartiva da acquisti a due, tre milioni di euro, per poi crescere. Un club di medio livello che però riusciva a pescare benissimo. Così nell'estate del 2013 fuori Jesus Navas, 15 milioni di euro. Poi Luis Alberto al Liverpool, Alvaro Negredo al City, Medel al Cardiff City. Circa 57 milioni di euro di cessioni. In Italia ci sarebbe una rivoluzione di piazza, a Siviglia capicono e vanno avanti, sperando in Monchi. Ah, e poi Kondogbia, andato via a clausola rescissoria: 77 milioni totali, prendendo Bacca, Cristoforo e Gameiro. Nessun intoccabile, solo guardare in faccia la realtà. Il Siviglia è un club di medie dimensioni e come tale deve ripartire, sperando poi di fare una stagione all'altezza delle precedenti. Le parole di Monchi però sono chiare: ogni anno parte da un bilancio di meno dieci e deve trovare qualcuno che possa metterci una pezza, ovviamente cedendolo a peso d'oro. Siviglia è una boutique cara ma sempre aperta.

IL BILANCIO - Nel 2009 il bilancio sfiorava i 100 milioni di euro. Nel 2013 era a 85 milioni, uguale al proprio debito, ma con una cifra spropositata di plusvalenze, vero e proprio salvagente di una situazione ai limiti del grottesco. Di lì in poi, anche grazie all'Europa League, gli incassi sono cresciuti di anno in anno: nel 2014 era a 102 milioni di euro, nel 2015 è salito fino a 125.

FAVOLA SIVIGLIA - Insomma, se il Leicester è una favola, il Siviglia è ancora di più, ha dimensioni iperboliche perché gioca contro società molto più ricche, ma le mette in fila tutte e non solo una volta. Certo, si può obiettare che in Champions League siano usciti contro Juventus e Manchester City, club che hanno il triplo e il quadruplo del fatturato biancorosso. Ma, se lo chiedete a Monchi, alla fine poco importa.

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