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Dejan Savicevic, il Genio che ha tinto Atene di rossonero

di Ivan Cardia
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© foto di DANIELE MASCOLO/PHOTOVIEWS

Oggi il Milan si dibatte fra un closing che non arriva mai e un gioco che continua a latitare. Gli interpreti sono buoni giocatori, a volte anche sottovalutati, ma, eccezion fatta per un paio di elementi, non sono campioni, senza troppi giri di parole. Anni bui, per il Diavolo. Anni lontani da quelli di una finale di Champions League o Coppa dei Campioni, per esempio quella del 18 maggio 1994, teatro lo Stadio Olimpico Spyros Louīs di Atene. Avversario, il Barcellona allenato da Johan Cruijff. Quello di Romario e Hristo Stoičkov, per fare due nomi. O di Ronald Koeman, difensore ma capocannoniere del torneo, per farne un terzo. Una squadra imbattibile, o quasi. Perché di fronte c'è il Milan di un certo Fabio Capello, quello degli Invincibili. Che però ha la sua forza principale, come ogni squadra italiana che si rispetti, nella linea difensiva: Tassotti-Baresi-Costacurta-Maldini. Ogni paragone con l'attualità non ha ragion d'essere. Nella sera di Atene, però, mancano sia Baresi che Costacurta: Maldini va centrale affiancato da Filippo a Galli, sulla fascia un giovanissimo Christian Panucci. Privo di due pilastri del genere, il Milan non è favorito per la vittoria, parte in svantaggio. A meno che. A meno che non si accenda una luce. Flash-forward di 90 minuti: il Milan ha vinto, 4-0. I catalani del Pelé bianco sono stati schiantati. Cosa è successo? Si è accesa quella benedetta luce. E aveva le sembianze di Dejan Savićević. Assist per la prima rete di Massaro, pallonetto stupendo a battere Zubizarreta nei primi minuti della ripresa per siglare il 3-0 che chiude le porte ai blaugrana. Nel mezzo, l'infinita classe del Genio, nel momento più brillante della sua avventura in rossonero. Savićević nasce il 15 settembre 1966, esattamente cinquant'anni fa, a Titograd, in Jugoslavia.

Anche se oggi si chiama Podgorica ed è la capitale del Montenegro. Cresce nel Budućnost, a 22 anni approda alla Stella Rossa di Belgrado, in quella che con ottime probabilità è la squadra più forte nella storia del calcio jugoslavo. Basata su due numeri dieci: Dejan Savićević e Dragan Piksi Stojković. L'alfa e l'omega del calcio balcanico: mancino il primo, destro il secondo, anarchici e imprevedibili entrambi, ma in modo del tutto diverso e complementare. Il primo ad andarsene dalla Jugoslavia è Stojković, che poi sarà anche meteora della Serie A col Verona: nel 1990-1991 lo chiama l'Olympique Marsiglia di Bernard Tapie. Non tutto va per il verso giusto, gli infortuni impediscono al talento serbo di sbocciare, ma la squadra francese arriva in finale di Coppa dei Campioni, in programma a Bari, nel San Nicola costruito per Italia '90. Una finale che Stojković vedrà quasi interamente da spettatore. E perderà. Di fronte, ironia del destino, c'è proprio la Stella Rossa. È la prima notte di gloria del Genio Savićević, che arriverà secondo nella classifica del Pallone d'Oro e a fine anno vincerà anche la Coppa Intercontinentale. Nel 1992, arriva la chiamata del Milan: Savićević lascia la Stella Rossa con un bottino di tre campionati nazionali, oltre alle coppe già menzionate. In rossonero, Savićević va a sprazzi: incanta e irrita. Qualcuno lo considera un fenomeno, qualcun altro poco più di un funambolo senza concretezza. La notte di Atene è l'apoteosi del suo rapporto col Milan e basterebbe a togliere ogni dubbio. Aggiungetevi tre Scudetti, una Supercoppa europea e una italiana, i conti dovrebbero essere semplici. Dopo sei stagioni al Milan, nel 1998 Savićević lascia l'Italia con un bottino di 144 presenze e 34 gol. Torna per un breve periodo alla Stella Rossa, per poi chiudere la carriera al Rapid Vienna. Tenta senza grosse fortune la carriera da ct della Jugoslavia, oggi è presidente della Federcalcio montenegrina. E compie 50 anni. È nato oggi anche Johan Neeskens, altra leggenda assoluta del calcio mondiale. Ma questa è un'altra storia.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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