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Da Romagnoli a Grassi: alle big conviene puntare sugli italiani? Juve, hai alzato bandiera bianca troppo presto. Inter e Milan, che differenza rispetto a un anno fa

di Raimondo De Magistris
Nato a Napoli il 10/03/88, laureato in Filosofia e Comunicazione presso l'Università Orientale di Napoli. Lavora per Tuttomercatoweb.com dal 2008, è il vice direttore dal 2012
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Ma conviene davvero puntare sui giovani italiani? E' la domanda che pongo a voi lettori di TMW per dare il via a questo editoriale. Vi anticipo la mia risposta: 'Si, conviene'. Ma i 'se' e i 'ma' sono tantissimi e le società che spesso, quasi sempre, rivolgono lo sguardo altrove hanno le loro buone motivazioni. Il problema è soprattutto economico, è evidente, ma per spiegarlo è necessario qualche passaggio. Un paio di premesse prima di giungere alla conclusione.
Il movimento calcistico italiano sta attraversando un momento particolarmente complesso e difficile. Arriveremo al prossimo Europeo dopo un Mondiale disastroso e con uno dei reparti avanzati meno talentuosi che l'Italia calcistica ricordi. Il ricambio generazionale tarda ad arrivare e la generazione d'oro che nel 2006 ci portò sul tetto del mondo è ancora alla ricerca di eredi. Cassano, Balotelli e Giuseppe Rossi, per motivi diversi, hanno fallito il loro appuntamento con la storia. Per il futuro si spera in giocatori come Insigne, Bernardeschi e Berardi, ma il presente è tutt'altro che roseo.
Un problema non da poco nemmeno per i club italiani. Soprattutto le società più importanti, quelle chiamate a ottenere risultati ogni stagione, negli ultimi anni hanno avuto sempre minore possibilità di scelta. Sono lontanissimi i tempi in cui nello stesso Torneo di Viareggio si potevano ammirare giocatori come Totti, Vieri o Del Piero. Adesso i giovani calciatori italiani forti, pronti già a 20 anni per le big, sono pochi, pochissimi. E quelli che ci sono vengono valutati con cifre fuori mercato.
Prendete l'esempio di Alessio Romagnoli. Il Milan ha sborsato 25 milioni di euro per acquistare il difensore classe '95 che aveva alle spalle una sola annata da titolare in Serie A. Valutazione ancora più alta quella data a Daniele Rugani, perché in questo caso la Juve i 25 mln offerti dal Napoli li ha rifiutati. L'ha dichiarato incedibile, anche se l'ex Empoli da quando è sbarcato allo Juventus Stadium non mette più piede (o quasi) in campo.
Cosa abbiano fatto questi giocatori per avere delle valutazioni così alte è davvero difficile da comprendere. Sono ottimi giovani, certo, ma quando si valuta Alberto Grassi dieci milioni di euro dopo 16 presenze in Serie A ci si può anche aspettare che altri club, che non hanno la disponibilità economica del Napoli, rivolgano il loro sguardo altrove. Potrebbe costare addirittura di più Rolando Mandragora alla Juventus, nonostante il centrocampista campano di gare in Serie A ne abbia disputate cinque: sei milioni più sei di bonus l'esborso economico per chiudere l'accordo col Genoa. Una cifra molto alta per un 18enne che promette benissimo, ma per ora s'è comportato bene solo in Serie B.
La vicenda è complessa e andrebbe analizzata in maniera ancora più diffusa. Perché se sei un club che può lavorare senza pressioni fai bene a comportarti come ogni anno fanno Empoli o Sassuolo, ma se punti a qualcosa di più di una salvezza tranquilla - e non hai un budget smisurato a disposizione - certe cifre preferisci spenderle in altro modo. Magari ti fiondi in Sud America o nell'Est Europa sfruttando i prezzi più concorrenziali.
Le attenuanti, insomma, non mancano. Chi investe all'estero ha le sue motivazioni, ma per il bene del movimento italiano è necessario che i direttori sportivi comincino a fare ragionamenti che vadano al di là delle prossime tre partite. La Juventus, stringendo accordi con club di rango minore, ha tracciato in questi anni la strada che dovrebbero seguire anche società come Milan, Inter e Roma. La strada giusta per far crescere i giovani italiani più talentuosi, produrre plusvalenze e ottenere risultati. Un percorso non privo di ostacoli perché necessita di una programmazione costante che non si improvvisa da un giorno all'altro, ma obbligatorio. Solo seguendo l'esempio dei campioni d'Italia si potrà aumentare il numero di calciatori italiani in Serie A ed evitare che quei pochi in grado di mettersi in evidenza anche solo per poche gare vengano poi valutati a peso d'oro.

Dai problemi del calcio italiano a quelli del calciomercato impossibile non notare come la tabella acquisti dei tre club più vincenti d'Italia sia vuota o quasi. La Juventus ha acquistato il solo Mandragora, ma per giugno. Il Milan s'è limitato a formalizzare l'ingaggio di Boateng, mentre l'Inter è ancora ferma al palo, in attesa che Guarin s'involi da Malpensa in direzione Cina. Jiangsu e Shanghai che sia.
Non perfetta la strategia di Giuseppe Marotta che era atteso al grande colpo, ma ben presto - forse troppo presto - ha alzato bandiera bianca. Max Allegri, che in estate aveva chiesto senza successo l'acquisto di un trequartista di caratura internazionale, ci ha riprovato con la richiesta di un centrocampista all'altezza dei titolari per il suo 3-5-2. Anche in questo caso, però, la società non l'ha accontentato. Con la differenza che, mentre ad agosto Marotta e Paratici ci hanno provato fino alla fine, a gennaio non sono mai entrati nel vivo delle trattative. Banega e Gundogan sono sfumati ancor prima di sedersi attorno a un tavolo, Moutinho e Witsel sono stati appena valutati, mentre Soriano e Fernando non sono stati considerati utili alla causa. Una resa incondizionata troppo rapida.
Discorso diverso per Milan e Inter, club probabilmente scottati da quanto accaduto dodici mesi fa. Di questi tempi, infatti, nel 2015 imperversavano sui giornali gli arrivi a Milano di giocatori come Destro, Shaqiri, Suso, Podolski e Cerci. Calciatori che avrebbero dovuto cambiare le sorti delle due squadre, ma che sono caduti nel dimenticatoio con la stessa rapidità con cui sono stati issati su un piedistallo. Le loro avventure a San Siro per motivi diversi si sono concluse malissimo, ma tutti questi fallimenti hanno avuto un minimo comune denominatore: l'assenza di punti fermi. Perché a gennaio puoi, magari, puntellare la rosa con un acquisto di spessore, ma non cambiare tre-quattro pedine nell'undici titolare. Una strategia rischiosa in estate, figurarsi nel bel mezzo della stagione calcistica.

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