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Claudio Nassi: "Il calcio libero di di Francesco"

di Redazione TMW
Fonte: Claudionassi.com
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Ricordo "Il mio calcio libero" di Di Francesco. Un quotidiano sportivo, mesi or sono, a lui dedicava tre pagine, prima compresa. Lo definiva "uomo-mercato", Milan e Fiorentina lo volevano. Lessi con interesse l'intervista, che non ho dimenticato perché mi poneva più di un interrogativo. Diceva: "Il calcio è tempo e spazi". "Il 4-3-3 ha un solo problema, fa fatica a marcare il play avversario. E' spettacolare. Non lavoro mai su un secondo sistema di gioco". "Zeman è l'allenatore che mi ha lasciato di più. Facevamo 10 volte i 1.000 metri per 4 giorni di seguito, poi i sacchi sulle spalle, i gradoni. No, voglio troppo bene ai miei ragazzi. La preparazione atletica non l'ho presa da lui". Alla domanda come prepara la partita risponde: "Io non mi snaturo. Preferisco parlare di noi, non degli avversari". Eppoi, qual'è la partita più difficile da preparare? "Le due con il Napoli, squadra che ha qualità nel palleggio e verticalizza benissimo, con un Sarri bravissimo". Ricordo, poi, alcune considerazioni di Capello: "Possiamo inventare tutto quello che vogliamo, ma se non c'è feeling con la squadra diventa tutto difficile". Quindi: "Herrera, quasi 50 anni fa, faceva quello che adesso tutti fanno e tutti copiano. E con Liedholm prima di iniziare l'allenamento c'era mezzora di tecnica individuale. Nessuno inventa niente. Siamo passati da un momento in cui si lavorava sulla tecnica ad altri che hanno basato tutto sulla corsa. Ora si sta tornando indietro. Che cosa deve avere un buon allenatore? Capire che calciatori ha in mano e impostare la squadra in base alle caratteristiche dei singoli".

Vado indietro e trovo Béla Guttmann, un ebreo ungherese naturalizzato austriaco, che portò al successo la Honved di Puskas, il San Paolo di Zizinho e Dino Sani e il Benfica di Eusebio. Ecco il suo credo: "Il "sistema" è uno schema che non funziona, perché sono i calciatori a doversi adattare. Voglio, invece, qualcosa che si adatti ai calciatori. Sono loro i veri interpreti". Nel 1956 in Brasile impose il 4-2-4 della Honved con cui Feola vinse, adattando Zagalo tornante, il Mondiale del '58 in Svezia. Famosa una sua frase: "Quando sei in possesso del pallone, smarcati. Quando ce l'hanno gli avversari, marca. Il calcio è tutto qui". Non dimentico, inoltre, la prima cosa che fece allenando il San Paolo: appese pneumatici alla porta, ai pali e alla traversa, e obbligò i calciatori a indirizzare il pallone nel buco. Quando Mino Favini ripete che per imparare uno schema basta una settimana, ma per imparare i fondamentali non basta una vita, dice il vero. Come Cruyff: "Non è necessario correre troppo, il calcio si gioca col cervello". Quando Obradovic afferma che "... non c'è tattica più importante della tecnica" dice ancora il vero. Quando Bearzot ricordava ai suoi che "... i rivali più pericolosi sono quelli che ti fanno dormire la notte prima", era ancora nel vero. Quando lunedì sera ascolto Riccardo Ferri rispondere alla domanda di Pardo "Quale allenatore vorrebbe all'Inter?" con "Io credo nella società", è nel vero. Perché l'unica persona insostituibile è il proprietario, il cui primo compito è difendere società, tecnico e calciatori. Il calcio, infatti, è semplice, ma come gioco.

Per questo, rispettando com'è giusto le sue idee, mi permetto di consigliare a Di Francesco equilibrio e buon senso e mai dimenticare dove poteva essere il Sassuolo tre campionati fa senza patron Squinzi.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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