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Claudio Nassi: "I procuratori e Guardiola"

di Redazione TMW
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So bene che il sogno dei procuratori è quello di fare il D.S. o il D.G.. Se si presentasse l'occasione, non ho dubbi, nonostante un contratto lontano dai loro introiti, salterebbero il Rubicone. So pure quanti desidererebbero fare l'allenatore. Non siamo una nazione di 60 milioni di D.T.? Eppoi volete mettere la libidine di fare la formazione? Quanti presidenti fremono la domenica al sentirla dall'altoparlante e tentano, più o meno velatamente, di suggerire un'idea al tecnico? Quindi tra i mestieri il primo che molti vorrebbero fare è l'allenatore. Per chi rincorre il vil denaro e del calcio conosce il giusto, eccezioni escluse, il procuratore. Sapete che danno economico fanno questi signori? L'incredibile. Per dare un'idea, ricordo che Jamie Jackson, giornalista del Guardian, con i bilanci della Premier davanti, parlava di 185 milioni nel 2015. Se si pensa alle tante agenzie che operano nel mondo, le cifre che escono dal calcio in commissioni sono un'emorragia. Per gli allenatori il discorso è diverso perché, almeno in Italia, quando si scende di categoria gli emolumenti non sono da nababbo. Ricordo ancora il titolo di un articolo di Paolo Condò: "Che cosa fanno i procuratori? Semplice: fanno i soldi". Ebbene, si fa qualcosa per limitarne lo strapotere? L'imperativo categorico sarebbe contenere almeno i danni. Chi di dovere lo sa, ma non è capace di trovare le contromisure.

Per gli allenatori di vertice, quelli che guadagnano dai 2 milioni netti l'anno a oltre 15, non riesco a spiegarmi come sia possibile. Detto che questi signori sono abili come pochi, mi diverto a vedere che cosa inventano i maghi della panchina. Dicono che il numero uno sia Guardiola. Ebbene, se fai spendere oltre 180 milioni al Manchester City per essere competitivo con chicchessia e ad ottobre perdi colpi in Premier e in Champions League, viene da pensare. Se Mancini accelera il divorzio dall'Inter per il mancato acquisto di Ya Ya Touré, che ritiene un fuoriclasse, che Guardiola non ama fin dai tempi del Barcellona e non utilizza; se vai al Camp Nou e tieni in panca il cannoniere del campionato scorso, Aguero, uno degli attaccanti top in circolazione, ti domandi perché. Se il Barca, anche favorito dall'espulsione di Otamendi, ti regala 4 gol; se Messi dimostra che le partite le decide da solo; se anche Luis Enrique si trova a vincere trofei a ripetizione dopo il flop di Roma; se vieni via dal Bayern con meno titoli di Heynckes, il predecessore; se hai bruciato Eto'o per cederlo all'Inter con 50 milioni per Ibrahimovic, che l'anno dopo svendi al Milan per prendere e strapagare Villa, svenduto a sua volta, stupisce sentire che sei il numero uno. D'accordo, non è uno sprovveduto, è stato un ottimo calciatore, ha vinto anche in panchina, ma la prestazione di Messi contro il City fa tornare in mente la striscia vincente dei Golden State Warriors, chiusa dopo 24 partite a Milwakee. In assenza di Steve Kerr li guidava un giovane figlio d'arte, Luke Walton. C'era chi lo riteneva un grande coach e chi aveva la conferma che gli allenatori non contano. Draymond Green, l'ala dei Warriors e la voce più ascoltata, disse di lui: "E' incredibile che sia rimasto Luke, sereno e rilassato. C'è gente che quando fa l'assistente è bravo e quando diventa capo-allenatore va via con la testa, lui no!". E non andò oltre. D'accordo, l'allenatore non lo possono fare tutti, ma basta pagare certi emolumenti, non li valgono!

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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