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Udinese, Stramaccioni: "Così Moratti mi consegnò l'Inter"

di Antonio Vitiello
Fonte: SkySport
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Doamni alle ore 23.30 su Sky Sport 1, torna l'appuntamento con "Saranno Signori (del Calcio)". Protagonista della puntata l'ex allenatore dell'Inter Andrea Stramaccioni, attualmente alla guida dell'Udinese. Ecco quanto anticipato da Sky:

La realizzazione di un sogno:
"La mia storia rappresenta la realizzazione di un sogno. Con i Mondiali del 1982, all'età di 6 anni, è scoccata la scintilla, l'amore per questo sport. Non avevo una famiglia particolarmente attenta, in generale, allo sport. Nel 1982 è scoccata questa scintilla: da lì, prima il calcio giocato, i provini, tutto il percorso e poi la brusca interruzione di una parte del sogno, a 19 anni. Ma come si dice alle volte, "si chiude una porta e si apre un portone". Il piccolo sogno è ricominciato con la carriera di allenatore. Partire dai campi di terra, dall'AZ Sport e riuscire ad entrare a San Siro, il primo aprile di tanti anni dopo, è stata la realizzazione di un sogno".

Alla corte di Moratti
"Atterrammo da Londra il lunedì. Onestamente, mi ero svegliato con qualche ora di ritardo, per via della nottata. Trovai tantissime chiamate di Piero Ausilio, lo richiamai e gli dissi: "Direttore, cos'è successo?". E lui: "Il Presidente si è messo in testa un'idea strana. Se ti dovesse chiamare…". Ed io: "Ma per cosa?". E lui: "Ha in mente di darti la prima squadra". Mi ritrovai in un ufficio legale e c'era un tavolo con un posto libero di fronte al Presidente Moratti. C'erano anche Marco Branca, Piero Ausilio e Angelo Mario, il figlio del Presidente. Cominciò una lunghissima chiacchierata di quasi quaranta minuti in cui parlammo della prima squadra, di come l'avrei fatta giocare se fossi stato l'allenatore, una chiacchierata bellissima alla fine della quale si abbassò un po' l'occhiale, come faceva lui, e disse: "Senta, non me ne frega niente di quello che penseranno, lei è il nuovo allenatore dell'Inter". E io sono cascato dalla sedia".

La chiamata dell'Udinese
"La chiamata di Gino Pozzo all'Udinese è stata per me un motivo di grande orgoglio. Attirare le attenzioni di un club così, per un allenatore giovane come me, rappresenta il massimo. L'Udinese è il simbolo di organizzazione, programmazione, progettualità. Le parole di Gino Pozzo sono state la dimostrazione che qualcuno avesse apprezzato il mio percorso, il mio lavoro sul campo. Qualcuno che aveva saputo staccare le problematiche extra-campo dell'Inter da quello che ero stato invece come allenatore".

La panchina giallorossa
"Da bambino ero tifoso romanista, sono stato per 10 anni abbonato in Curva Sud e non lo rinnegherò mai, perché secondo me è stupido chi rinnega sé o il suo passato. A Roma ho la mia famiglia, ho la mia vita, ho tanti amici, sicuramente un giorno la mia vita umana, non calcistica, finirà lì. Rappresenta, però, qualcosa di troppo grande adesso. Ma non è mancanza di ambizione, io sono orgoglioso adesso di essere all'Udinese. E' normale che, se un giorno capitasse questa possibilità, sarebbe una grandissima soddisfazione. Però, non so perché, ma essere romano e allenatore della Roma è sempre stato un binomio difficile, perché essere romano e lavorare a Roma non sempre è facile. "Nemo propheta in patria".

Il sogno continua…
"Io di sogni ne ho centrati veramente tanti. Adesso il sogno più grande è essere in Serie A. Allenare l'Udinese è un grande orgoglio".

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