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Sarri, tre partite per cambiare idea. A Benitez non sono bastati due anni. Lazio 2015 come il Napoli 2014: che senso ha? In Serie B c'è il regista del futuro

di Raimondo De Magistris
Nato a Napoli il 10/03/88, laureato in Filosofia e Comunicazione presso l'Università Orientale di Napoli. Lavora per Tuttomercatoweb.com dal 2008, è il vice direttore dal 2012
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La sfida al San Paolo è finita da poco più di un'ora ed è giusto partire da lì. La Juventus continua a collezionare record negativi, il Napoli fa cantare i suoi tifosi nella serata in cui il fattore stadio è tornato a fare la differenza. Un successo meritato, un 2-1 per denotare un ulteriore passo avanti della squadra partenopea che anche contro i campioni d'Italia ha dimostrato di dover migliorare, e parecchio, nella gestione della partita, ma nel frattempo continua a fare grandi passi in avanti. Innanzitutto in fase difensiva: dai sei gol subiti nelle prime tre partite alla sola rete di Lemina incassata nelle successive quattro.
C'è da registrare un dato: a Maurizio Sarri sono bastate tre gare per cambiare idea. Il tecnico campano dopo il pareggio a Empoli ha capito che il 4-3-1-2 non era lo schieramento adatto per esaltare i giocatori a disposizione. Un modulo che celava le qualità di Hamsik e Allan e, soprattutto, non era in grado di dare alcuna protezione alla difesa. E allora spazio al 4-3-3 già a metà settembre: lo schieramento agli occhi di tutti più congeniale da tre stagioni a questa parte.
Sarri è tecnico da pane al pane e vino al vino. Sa quando un complimento è fatto per ruffianeria e quando, invece, ha come fondamento ragioni valide. Sa quando una critica è costruttiva e quando, invece, è provocazione camuffata. E ha saputo accogliere gli appunti negativi per attuare il nuovo schieramento che ha subito portato a risultati importanti. Un comportamento inusuale visto il biennio precedente, in grado di sancire un reale e netto distacco dal suo predecessore che, al contrario, ha cestinato qualsiasi critica con quell'atteggiamento da Marchese del Grillo sempre ben celato da un sorriso pacioso e da cordiali frasi di circostanza.
Solo il tempo dirà quale dei due atteggiamenti porterà i migliori risultati. Qual è più produttivo in una piazza dai tratti unici come quella partenopea. Adesso c'è solo da far parlare il campo. Nel frattempo, per ingannare il tempo, non si può far altro che assistere al continuo e poco produttivo confronto che c'è a Napoli tra chi rimpiange Benitez e chi esalta Sarri. Tu scendi dal carro, io ora posso salire sul carro, attento che il carro ti sta investendo. E così via. Dibattito tra lo sterile e il noioso.

Allontanandomi dalle ultime vicende di casa Napoli (ma nemmeno troppo) vorrei tornare sulla gestione estiva della Lazio. Sottolineo il nemmeno troppo perché ha tanti, troppi punti in comune con quella attuata proprio dalla società partenopea un anno fa ed è etichettabile con un solo aggettivo: sconcertante.
Il punto non è dove la Lazio potrà arrivare quest'anno, ma perché nell'estate in cui hai la possibilità di fare un ultimo decisivo passo in avanti nei fai due indietro. Restando paralizzata sul mercato quando di fronte a te c'è un traguardo che può garantire le tue fortune. Sia sportive che economiche.
La realtà è che per le squadre italiane il terzo posto più che in un premio si sta trasformando in una condanna. Negli ultimi cinque anni solo il Milan è riuscito a superare il preliminare di Champions e sei anni fa la Sampdoria precipitò dal doppio confronto col Werder Brema alla Serie B nel giro di pochi mesi.
La Lazio per tutta l'estate ha cercato un attaccante e un difensore esperto. Servivano come il pane, altro che giovani promesse da far esplodere nel 2017. Eppure Tare e Lotito hanno deciso di portare a Formello Alessandro Matri - non la prima scelta - quando la disfatta col Bayer Leverkusen era ormai consumata. Un po' come fece De Laurentiis un anno fa quando, dopo aver trattato per mesi Mascherano, Gonalons, Kramer, Javi Garcia e non solo, portò a Castel Volturno David Lopez (grossomodo la decima alternativa...) solo aver incassato un pesante ko a Bilbao. Scelte senza alcuna logica perché la retrocessione in Europa League è poi macigno che inevitabilmente peserà su tutta la stagione. Decisioni che si susseguono con una continuità preoccupante e fanno porre un'unica semplice domanda: perché vivere tutta la stagione con questo rimorso?

Sono un appassionato del campionato di Serie B. Ha conservato quel briciolo di umanità che permette a squadre come Carpi e Frosinone - date da tutti in fondo alla griglia nell'estate 2014 - di ritrovarsi in Serie A un anno dopo. Anche qui c'è chi investe tanti soldi e chi deve andare avanti senza spendere un euro sul mercato, ma il gap è molto meno ampio e l'esito finale non è mai scontato. In Serie A, per intenderci, il fatturato già in estate stila una classifica pressoché fedele. Può esserci qualche sorpresa, certo. Ma una squadra che deve lottare per la salvezza non può vincere il titolo e viceversa. In B invece è tutto diverso. E questo rende le partite più imprevedibili e la classifica sempre incerta.
Tornando alla B di quest'anno, il livello della competizione mi sembra più elevato rispetto a un anno fa. Manca ancora tanto per tornare ai fasti di fine anni '90, ma anche grazie a neopromosse e retrocesse il tasso tecnico s'è innalzato. La cadetteria deve tornare a essere fucina di giovani talenti italiani per il massimo campionato e se l'intero parco giocatori è per circa il 70% composto da italiani e per poco meno del 40% da Under 21 vuol dire che la strada è quella giusta. Si può migliorare, certo, ma i passi in avanti sono sotto gli occhi di tutti.
E allora spazio a chi nei prossimi anni potrà fare la differenza in Serie A. Mi limiterò di volta in volta a segnalarne uno, partendo da una terra fertile come la Romagna. Perché Stefano Sensi, centrocampista classe '95, è nato a Urbino ma già all'età di 14 anni è entrato nel settore giovanile del Cesena. Vent'anni da poco compiuti, ha la personalità di un veterano grazie alla perfetta gestione della società bianconera. Invece, infatti, di farlo 'invecchiare' nel settore giovanile il club appena maggiorenne decise di spedire il calciatore a San Marino. Due stagioni in Lega Pro che sono risultate fondamentali per la crescita di un regista di centrocampo che ha tutte le qualità per diventare uno dei protagonisti del nostro calcio.
Ritornato alla casa madre dopo due stagioni all'ombra del Titano, il Cesena l'ha messo al centro del suo progetto per ripartire dopo un'annata fallimentare culminata con la retrocessione. Bravo mister Drago a inserirlo fin da subito tra i titolari nonostante una mediana molto competitiva, bravo Sensi a prendersi la squadra sulle spalle grazie a qualità tecniche eccellenti. I 168 centimetri non sono un limite per chi fa del talento il suo punto di forza, il suo piede talmente educato da assicurare passaggi sempre precisi e ficcanti per i compagni di squadra.
E' uno dei tanti potenziali crack della Serie B, uno di quei nomi che spesso e volentieri passiamo in rassegna sulle nostre pagine per ricordare ai direttore sportivi di Serie A che i giovani forti non sono solo in Sud America. Chissà se ripetendolo dieci, venti, cinquanta, cento volte qualcuno prima o poi ci darà ascolto. Nel frattempo, buona domenica calcistica a tutti.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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