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Natalino: "Grazie Inter. Moratti con me un numero uno"

di Antonio Vitiello
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© foto di Alberto Fornasari

Felice Natalino ha esordito in Serie A e Champions League con la maglia dell'Inter. Poi, nel 2012, ha conosciuto lacardiomiopatia aritmogena, una malattia genetica del cuore, la stessa che fu fatale per Piermario Morosini. Oggi Felice vive con un defibrillatore automatico nel petto, mentre studia per diventare allenatore e gestisce con il padre una scuola calcio. La redazione di SportLive.it l'ha intervistato e inevitabilmente si è parlato del suo periodo in nerazzurro: "Ero contento perché avevano speso tanto per me (1,2 milioni di euro): significava che ci tenevano, ma a sedici anni non pensi molto a queste cose.Come caratteristiche, mi piacevano molto Samuel e Chivu, che era veloce, forte e bravo con i piedi: anche a me piaceva giocare la palla. Poi m’ispiravo a Zanetti, anche come duttilità: potevo giocare a destra, nelle giovanili ero stato impiegato a centrocampo e da esterno. Benitez poi per me è stato un grande mister. Dava spazio ai giovani: era abituato con il calcio inglese, dove i ragazzi sono considerati calciatori “normali” e non promesse che non hanno esperienza. Giocavamo io, Biraghi, Coutinho, Biabiany…", riporta fcinternews.it.

Lo stop: "Sono stato fermato dopo una semplice prova sotto sforzo. Era maggio (2012, ndr) e ricordo che dovevo andare a fare la tournée in Indonesia con l’Inter, ma non partii. Non ero ancora consapevole del mio problema, quindi mi allenavo da solo qui a Lamezia: sono stato fermo solo i primi due mesi, per vedere se poteva essere un problema relativo allo stress. Era la prima settimana del mese e mi trovavo con degli amici in un bar di Lamezia. Ero seduto, quando ho iniziato a sentire il cuore pulsare più velocemente. Per fortuna a quell’epoca ero già consapevole della mia situazione, così sono andato subito al pronto soccorso: dopo dieci minuti ho avuto proprio l’attacco cardiaco. Sono rimasto due giorni a Catanzaro, dove mi è stato impiantato un defibrillatore automatico, un “salvavita” che ho tuttora. Poi, però, ho avuto un’altra crisi: sono stato quindi trasferito a Milano con un aereo militare, perché a Catanzaro non riuscivano a fare l’intervento, chiamato ablazione: entrano con un sondino e bruciano la parte malata per ristabilire i battiti in maniera regolare".

La scelta: "In Europa avrei potuto giocare per una questione burocratica: le società ti fanno firmare una carta in cui ti assumi tutte le responsabilità e puoi andare in campo. In Italia, invece, c’è il medico sportivo che si prende l’onere di mandarti in campo. Ho smesso perché, comunque, avrei dovuto svolgere la mia attività con un defibrillatore automatico nel petto. In Germania c’è stato il caso di un ragazzo con problemi cardiaci che ha segnato in terza serie (Daniel Engelrbrecht, gioca con un defibrillatore nello Stuttgarter Kickers, ndr): il medico però mi disse che se avessi sforzato di nuovo il cuore sarei potuto tornare alle condizioni di quel febbraio 2013. Non me la sono sentita e ho deciso quindi di smettere".

L'aiuto dell'Inter: "Mi ha aiutato economicamente, onorando l’anno e mezzo di contratto che ancora avevo. Un gesto, questo, che alcune società non farebbero mai. Sono ancora adesso a stretto contatto con loro: spero un giorno di tornare lì come allenatore o come osservatore. In quel periodo mi chiamarono tutti: da Zanetti a Cordoba, da Moratti ad Ausilio. Di fronte a queste cose è difficile che qualcuno ti tratti male. L’Inter e Moratti si sono comportati con me da numeri uno".

Sogni pesanti: "Ci sarebbero state tante gare in cui avrei voluto scendere in campo, ma ormai ricordo solo quello che ho fatto e sono contento così. Sarebbe straziante mettersi a pensare che avrei potuto affrontare il Barcellona o fare una finale mondiale. L’obiettivo era quello, giocare la finale di Champions o andare in Nazionale dopo aver fatto tutte le rappresentative giovanili. Poi, però, cambi prospettiva e inizi a pensare alla salute".

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