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Le rivoluzioni che partono da lontano

di Luca Marchetti
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© foto di Federico De Luca

Generalmente se un movimento calcistico funziona si vede dalle fondamenta. E abbiamo sempre detto che la difficoltà più grande del calcio italiano è quella della mancanza di progettualità. Di non aver saputo costruire partendo dal basso.
Purtroppo questo tipo di sensazione è confermata anche dagli studi di analisti che hanno scandagliato i campionati europei (e il nostro "settore giovanile") per capire dove potrebbe funzionare meglio.
Non so se vi ricordate le parole che suscitarono molto scandalo da parte di Arrigo Sacchi sull'utilizzo di stranieri in Primavera. Al di là della connotazione razzistica (che sinceramente io non vedo) della frase dell'ex allenatore del Milan, in molti hanno voluto subito sottolineare come la considerazione non fosse veritiera.
Dati alla mano soltanto meno del 20% degli atleti da Primavera è straniero: anzi per la precisione il 18% di cui il 10% comunitario, 8% extra), ma naturalmente ci sono estremi da una parte e dall'altra. Ad esempio utilizzano molti ragazzi non italiani Inter, Juventus, Modena e Udinese. E soprattutto nei calciatori di 20 anni (quindi quelli più vicini al passaggio in prima squadra) la percentuale di stranieri raggiunge una cifra importante: quasi il 40% sul totale dei calciatori utilizzati.
E se analizziamo il minutaggio dei giocatori utilizzati troviamo che all'Inter e all'Udinese gli stranieri hanno un minutaggio superiore agli italiani. E che in almeno 10 società (Catania, Chievo, Fiorentina, Verona, Lazio, Modena, Parma, Sampdoria, Vicenza ed Entella) il minutaggio dei giocatori stranieri supera il muro dei 4000 minuti.
Quindi la considerazione di Sacchi era tutt'altro che avulsa dalla realtà. Con questo non significa che sia sbagliato utilizzare gli stranieri. Non possiamo certo meravigliarci se nell'Inter (che da sempre ha un anima molto internazionale) o nell'Udinese (che da sempre cerca giovani calciatori in giro per tutto il mondo grazie al suo scouting) ci siano molti stranieri. Né tantomeno questo può essere considerato un (mal)costume tutto italiano. Perché analizzando i dati della Youth League si nota come tuttosommato anche a livello internazionale ci siano le stesse percentuali 83% di calciatori autoctoni, 17% di stranieri. E mano mano che si avanza nella competizione le percentuali variano in favore degli "stranieri".
Quindi un modello non esiste, anzi. Il modello dovrebbe essere rappresentato dall'utilità del settore giovanile.
Un importante settore giovanile produce giocatori da prima squadra.

E quindi produce reddito. Secondo il CIES, studio di osservazione calcistica svizzero, la serie A è l'ultima dei cinque maggiori campionati a incassare soldi dai prodotti del settore giovanile. 114 milioni (i trasferimenti dal luglio 2012 per i giocatori dai 15 ai 21 anni siano stati almeno per tre stagioni in una società) su 1.072 movimentati. Vale a dire l'11%, soltanto.
Pensate che il primo posto lo ha la Ligue1 (292 mln), seguita dalla Liga (276 mln), poi la Premier (227 mln) e poi la Bundes (163 mln).
Vale a dire che in Francia (dove ci sono i centri federali che aiutano nel crescere i giocatori) al di là del PSG (fenomeno nato soltanto in queste ultime stagioni) esiste un movimento che permette al sistema calcio di avere una base solida.
Ma quello che fa più impressione è che nella lista delle 20 squadre più "prolifiche" non ci siano che due italiane soltanto e che non siano big ma Genoa (15) e Atalanta (17). Il Genoa ha accresciuto negli anni la capacità di individuare talenti e soprattutto poi rilanciarli (Boakye, El Shaarawy, Cofie, Lazarevic e Sturaro, per un totale di 24,5 milioni). L'Atalanta da sempre ha una grande tradizione e le cessioni di Bonaventura, Colombi, Consigli, Gabbiadini e Olausson hanno fruttato 23 milioni e mezzo.
Ci sono invece, eccome, alcuni appartenenti alla grande aristocrazia del calcio internazionale: ci sono Bayern Monaco (31 milioni) e Borussia Dortmund (43,5), ci sono Real (43) e Barcellona (38,8), ci sono Manchester United (28,7) e Psg (25,2) che evidentemente non solo riescono a tirar fuori dai loro settori giovanili giocatori da prima squadra per sé stessi ma anche per gli altri. Esempi? Da Goetze a Callejon, da Morata a Dos Santos, da Krkic a Kroos, da Welbeck a Sakho.
Ecco perché bisogna essere accorti nelle ristrutturazioni di un sistema. Studiare bene anche le conseguenze e soprattutto la situazione attuale per portare dei correttivi che possano essere di aiuto per il calcio italiano e per le sue società. Rendersi conto di essere diventati un paese (calcisticamente parlando) diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati.
I numeri servono per sfatare luoghi comuni. E per fare riflessioni. Non danno soluzioni. Ma non riflettere neanche porterebbe solo a trovare soluzioni miopi. Soluzioni dell'oggi: una toppa per una buca. E anche qui, spesso potrebbe non bastare.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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