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ESCLUSIVA TMW - Kutuzov: "Dal calcio all'hockey, ecco la mia nuova vita"

di Gaetano Mocciaro
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© foto di Filippo Gabutti

Ai microfoni di Tuttomercatoweb Vitali Kutuzov ci parla della sua nuova vita da giocatore di hockey, ripercorrendo la sua carriera di calciatore spesa per molti anni in Italia. A partire dal 2001 quando il Milan lo acquistò dal BATE Borisov. Proprio i bielorussi, avversari della Roma in Champions League, sono descritti dall'ex attaccante, che si mise in mostra proprio con la loro maglia.

Vitali Kutuzov, che squadra è il Bate Borisov?
"Una squadra cambiata rispetto agli ultimi anni. Sono rimasti un paio di giocatori della vecchia guardia ma è stato lasciato spazio prevalentemente alla nuova generazione. I risultati alla fine stanno premiando, tanto che sul campo continuano a dominare. Magari ultimamente non stravincono le partite, ma i tre punti riescono sempre a portarli in casa".

Il BATE è la squadra che rappresenta sempre la Bielorussia in Champions League. Cos'ha più degli altri club?
"Il club lavora in maniera diversa, più professionale. C'è il presidente che è molto preciso, seleziona i giocatori con molta attenzione. L'organizzazione societaria del BATE è tutt'altra cosa rispetto al resto degli altri club".

Come giudichi il calcio bielorusso?
"Il livello si è abbassato. Non voglio essere critico ma credo che manchi l'organizzazione giusta, vedo che si lavora nel modo sbagliato. Ci vorrebbero più scuole calcio, più allenatori, più ex giocatori a insegnare, mentre vedo troppo dilettantismo sotto questo aspetto. Il nuovo commissario tecnico della Nazionale è un ex giocatore della Dinamo Kiev, giocava con Shevchenko e questo è un fatto positivo. Resta il fatto che c'è il problema di selezionare giocatori di qualità. Una volta molti di noi giocavamo all'estero, nei campionati principali. Oggi non è così. Diciamo che la generazione attuale è di livello più basso. Un po' come in Italia, anche se il problema italiano è riconducibile soprattutto ai problemi economici. Nel caso della Bielorussia il problema è che non c'è una grande cultura del calcio e bisognerebbe lavorarci su".

Il BATE Borisov per te è stato il trampolino di lancio per la Serie A. Tutto nacque da una partita di Coppa Uefa contro il Milan
"In realtà era tempo che venivo osservato, dal momento che mi era anche capitato di affrontare l'Italia quando giocavo con l'Under 21 della Bielorussia. Del resto il Milan dopo gli affari Shevchenko e Kaladze stava monitorando da tempo l'Europa dell'Est. Quando col BATE giocai contro il Milan una partita di Coppa Uefa dalla prestazione che ne scaturì vennero sciolti tutti i dubbi. E venni acquistato dal Milan. Fui catapultato all'improvviso in una realtà totalmente differente".

Col Milan la parentesi non fu troppo fortunata
"Ero troppo giovane, all'epoca non ero mentalmente pronto per giocare a livelli così alti. L'emozione di giocare con grandi campioni, la difficoltà della lingua e delle abitudini hanno condizionato il mio inserimento. Non ebbi nemmeno il tempo per ambientarmi che fui mandato in prestito in Portogallo, allo Sporting Lisbona. Nonostante mi ritrovai a giocare in una squadra prestigiosa credo che lasciare l'Italia così presto non fece altro che peggiorare le cose. Persi un ulteriore anno per prepararmi al calcio italiano. Alla fine tornai all'Avellino e le cose cominciarono a girare, pur giocando attaccante esterno e senza tirare rigori segnai 15 reti. C'era Zeman allenatore e posso dire che un anno di allenamenti con lui equivale a cinque con altri (ride, ndr).

A quali squadre sei rimasto affezionato maggiormente?
"Gli anni alla Sampdoria mi hanno fatto crescere molto, c'era un gruppo importante. Sarei stato sicuramente di più a Genova. Dal punto di vista delle emozioni credo che le ho vissute di più a Pisa dove ho avuto un tecnico come Ventura che mi ha cambiato anche come mentalità, facendomi scoprire il mondo del calcio. A Bari poi ho avuto tutto, dai grandi successi alla retrocessione infine alla squalifica. Diciamo che non mi sono fatto mancare niente (ride, ndr). Conservo un bel ricordo di Bari e mi fa piacere essere ricordato in città con affetto".

Oggi giochi a hockey, nella Diavoli Rossoneri. Cosa ti ha portato a questa scelta?
"Ho lo sport nel sangue, mi piace essere attivo. La mia vita è stata il calcio ma mi hanno tolto la possibilità di giocarci. Mi è rimasto l'amaro in bocca, poi ci penso e mi dico: doveva andare così. Così ho deciso di buttarmi sull'hockey, una passione che non potevo coltivare troppo proprio per gli impegni col calcio. In Bielorussia quando inizia a scendere la neve i bambini scendono in strada e cominciano a giocare a hockey. Così facevo io. Ho deciso di giocarci e sto scoprendo un altro mondo, decisamente diverso rispetto a quello del calcio".

Non ci sono stati pregiudizi nei tuoi confronti?
"Molti curiosi ci sono. Mi guardavano e si chiedevano: 'che cazzo ci fa lì?' Devo dire che in questi anni ho fatto progressi, sono arrivato a un buon livello. Non dico top ma abbastanza importante se consideriamo il livello amatoriale. L'essere uno sportivo certamente mi ha agevolato, ma mi alleno anche abbastanza, dieci ore a settimana. Ed eccomi a giocare il campionato di Serie C".

Quando eri calciatore giocavi come attaccante, adesso invece fai il portiere
"Il portiere nell'hockey ha dei pattini diversi rispetto agli altri giocatori. Quelli dei giocatori li fatico a mettere, mi fanno male, mentre i pattini da portiere mi calzano, ci sto bene. E così mi sono adattato a evitare i gol. Sono felice, gioco a Milano e ho trovato un gruppo compatto. Con dei ragazzi sempre pronti a darti una mano. C'è lo spirito giusto, un ambiente che non mi aspettavo ma molto bello".

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