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D.Daino: "All'epoca non era facile giocare nel Milan, al contrario di oggi"

di Chiara Biondini
Fonte: Calcio2000
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© foto di Federico De Luca

Uno dei migliori giovani, tra i più forti terzini destri degli ultimi tempi, che ha giocato con fuoriclasse straordinari, dando sempre il massimo per conquistarsi il posto in squadra, pensando a se stesso per raggiungere i propri obiettivi. Stiamo parlando di Daniele Daino, che ripercorre in esclusiva per Calcio2000 la sua carriera, tra soddisfazioni, rimpianti, delusioni e...numerosi progetti.

Sei cresciuto nel Milan, che ricordi conservi degli inizi?
"Ricordi molto belli, è stato un percorso molto impegnativo perché sono uscito di casa volutamente a 11 anni; all'epoca per i fuori regione non c'erano limiti d'età, se eri bravo potevi essere comprato da squadre professionistiche. Per primo mi voleva il Torino, avevo provato all'Inter, alla Juve doveva ancora nascere il settore giovanile e il Milan è stato il più convincente, erano i primi anni di Berlusconi e gli investimenti erano importanti, assieme a me c'erano Maccarone e Miccoli, giocatori di spessore. È stato molto bello ma faticoso, dato che per cinque anni rimasi in collegio a Lodi fino a quando non mi trasferii stabilmente a Milanello a 16 anni".

Hai esordito in prima squadra il 23/10/1996 (Reggiana-Milan 0-2), sedicesimi di finale di Coppa Italia.
"Mi allenavo già da tempo con la prima squadra e Tabarez non ci aveva pensato due volte a farmi esordire. È stata una serata molto bella ed emozionante. È un ricordo sempre vivo dentro di me".

Immagino che si stava realizzando un sogno...
"Sapevo di avere qualità fisiche, tecniche e atletiche importanti per potercela fare, avevo messo nel mirino di giocare nel Milan il prima possibile, era un mio obiettivo e l'ho raggiunto, e mi riempie d'orgoglio esserci riuscito così presto. All'epoca non era facile giocare nel Milan, il contrario di quanto succede oggi: nove undicesimi degli attuali titolari in quel Milan non giocherebbero".

Hai sempre voluto fare il calciatore? Ti ispiravi a qualcuno in particolare?
"Sì è sempre stato nella mia testa. Non mi sono mai ispirato a nessuno, prendevo spunto dagli altri per migliorarmi ma pensavo solo a me stesso".

L'esordio in Serie A con il Milan ancora contro la Reggiana (3-1), l'11/5/1997: cosa ha rappresentato?
"Subentrai a un certo Desailly, con Sacchi in panchina che aveva preso il posto dell'esonerato Tabarez. Stavo esordendo nella squadra più vincente al mondo, in mezzo a grandi campioni e con il grande Milan in campo, me lo porterò sempre nel cuore e di questo devo ringraziare Sacchi che aveva visto in me delle potenzialità. Da quel momento giocai le restanti 5-6 partite subentrando sempre. Questo mi fece capire il grande piacere di giocare in mezzo a quei campioni e fece crescere la convinzione di poterci stare, come poi avvenne la stagione seguente con Capello. Purtroppo non sono stato fortunato, giocai nel Milan quando la squadra attraversava anni sabbatici mentre quando vinceva io ero in prestito in altre piazze".

Nel Milan hai giocato con grandissimi campioni, chi ti ha aiutato di più?
"Devo dire che ci sono stati cinque giocatori che mi hanno aiutato tantissimo, mi davano sempre dei consigli per migliorarmi: Desailly, Boban, Weah, Baggio e Rossi. Non li dimenticherò mai. Ho ricevuto invece meno dai vari Maldini, Costacurta, Albertini, non so per quale motivo".

Dal Milan sei passato prima al Napoli e poi al Perugia prima del ritorno in rossonero.
"Napoli è stato il mio primo prestito secco per un anno dal Milan: è una piazza importate dove si vive di calcio 365 giorni l'anno. Giocai tutte le partite e venni premiato come miglior giocatore della stagione, un bel motivo d'orgoglio. Ricordo che Ulivieri un giorno disse: "Come è possibile che un ragazzo di 19 anni riesca a giocare con tranquillità dentro uno stadio simile?". A Perugia invece giocai dieci partite con medie voto altissime prima di infortunarmi al tendine rotuleo (lo stesso infortunio di Ronaldo, ndr) che mi tenne fuori un anno e mezzo e mi fece perdere il grande treno. Era un calcio che non esiste più".

Hai tentato anche l'esperienza estera, al Derby County: cosa ti spinse a questa scelta?
"Andai in prestito secco dal Milan per un anno, ed è stata la prima esperienza dopo l'infortunio. Conservo un bellissimo ricordo, bellissimi stadi ma la tipologia di gioco non era quella giusta per me, dovevo ricominciare dall'Italia, ma il Dio moneta mi convinse a scegliere l'estero. Sicuramente è un'esperienza che non rifarei a 20 anni".

Il ritorno in Italia con le maglie di Ancona, Bologna e Modena: a chi è legato il ricordo migliore?
"Bologna è stata importantissima, tra l'altro qui conobbi mia moglie ed è nata mia figlia ma anche Ancona con Gigi Simoni, dove ottenemmo la promozione in Serie A all'ultima giornata a Livorno, davanti a più di 20.000 anconetani, segnando il gol del definitivo 1-1 che ci diede la certezza e ottenendo anche il riconoscimento come miglior giocatore della stagione, così come a Bologna nel 2007-08. Lasciai un buon ricordo in tutte le piazze dove giocai perché facevo la differenza seppur da terzino non era facile, ma ho ancora ritagli di giornale in cui nelle pagelle prendevo 8, cosa che non vedo più nel calcio di oggi. Penso ad Abate o De Sciglio, non arriveranno mai ad essere eletti migliori in campo".

Gallipoli e Alessandria sono state le ultime esperienze...
"È subentrato un circuito sbagliato, quando ti fai qualche nemico ti tirano fuori dalla cerchia. A me è successo questo, ho capito e ho smesso. Da quel momento ho iniziato a studiare diventando allenatore".

Capitolo Nazionale: hai fatto tutta la gavetta, dall'Under 15 all'Under 21, ma è mancato l'ultimo salto. Dispiaciuto?
"Sono stato sfortunato, mi ero laureato Campione d'Europa nel 2000 con Tardelli C.T. e poi mi feci male. Mi fa piacere ricordare che anni fa Trapattoni, stilando la nazionale del futuro per conto de La Gazzetta dello Sport, mi aveva inserito stabilmente nel ruolo di terzino destro. Comunque dalle cose belle e dai dispiaceri sono nate nuove risorse dentro di me".

Come giudichi la tua carriera, hai rimpianti o sei soddisfatto?
"Il mio rimpianto è caratteriale, non sono mai stato uno tipo Montolivo, che deve arruffianare per giocare, io giocavo perché mi sentivo forte e non calcolavo nessuno, dominavo di prepotenza fisica e tecnica mettendo in condizione l'allenatore di farmi giocare. Sarebbe il massimo poter ricominciare adesso la mia carriera, sarei adatto per questo sistema di calcio".

Chi è stato il miglior allenatore che hai avuto?
"In assoluto il più preparato è Renzo Ulivieri, un vero Maestro di calcio, seppur ho avuto tanti bravi allenatori che hanno vinto come Capello, Mazzone, Tabarez ma il bagaglio che ho acquisito l'ho rubato a Ulivieri; simile a lui oggi vedo Maurizio Sarri".

Hai da poco aperto una scuola calcio denominata "Daino Soccer Academy", ce ne vuoi parlare?
"È un bel progetto, aperto da poco più di un mese, e voglio fare in modo che i giovani imparino il gioco del calcio, dando una mano per rafforzare la loro psicologia, stando assieme, rispettando le regole e gli spazi; cercherò di portare qualcuno sul grande palcoscenico, se ne avranno le possibilità e le qualità. Poi ho tanti altri progetti, nelle scuole, fare comunicazione, realizzare campus estivi".

Quali altri sogni conservi nel cassetto?
"Avevo portato un bellissimo progetto negli Emirati Arabi per conto del Milan che mi è stato bloccato in quanto Berlusconi ha deciso di vendere il marchio rossonero proprio mentre stavo per chiudere un progetto di primissimo livello, che ora rifarò per l'Italia".

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