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Al Napoli non serve una rivoluzione, ma una seria riorganizzazione. De Laurentiis ha bisogno di manager competenti, per non sprecare altre risorse come quelle investite negli ultimi due anni

di Raffaele Auriemma
Laureato in Giurisprudenza, scrittore, giornalista professionista, radiocronista dal 1985 e telecronista Mediaset Premium per le partite del Napoli. Corrispondente di Tuttosport, coordinatore per Piùenne, produce e conduce "Si gonfia la rete"
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

Il conforto per l'addio arriva dall'esperienza del passato, dalla capacità (o chiamatela fortuna) mostrata da De Laurentiis nei momenti delle scelte coraggiose. Accadde due anni fa, con il contemporaneo saluto di Mazzarri e Cavani, dopo aver già ceduto Lavezzi 12 mesi prima: il Napoli dei grandi trionfi, a dispetto dei nomi per nulla blasonati in organico, era stato smantellato ed andava ricostruito. In tasca quasi 100 milioni e il furor di popolo che reclamava ancor più, convinsero De Lauremtiis che l'ora era giunta per fare il salto di qualità e spingere il motore "a tutta" in direzione scudetto. Non è andata così e le due Coppe (Italia e di Lega) non addolciscono il rimpianto per aver investito il patrimonio quasi tutto, senza nemmeno il conforto dell'incremento garantito dalla partecipazione alla Champions League. Tutto da rifare? Non proprio. L'esperienza fatta dal presidente in queste due stagioni di alti e bassi, gli avranno permesso di elaborare per bene cosa serve veramente e cosa occorre meno in una società di calcio come il Napoli. Di cosa dotarsi? Una organizzazione societaria diversa, composta da elementi di provata esperienza e professionalità, oltre ad una figura di alto spessore che possa fare da tramite tra spogliatoio e club. Manager, ai quali affidare carta bianca per ciò che concerne le proprie competenze. In una sola parola: delegare. Questa forma verbale non è mai stata coniugata dal presidente prima d'ora, per la necessità di guardare in prima persona i fatti di casa Napoli e limitare al minimo i potenziali errori. Ma in nessun grande club il presidente assume le sembianze di uno e trino, basti vedere come sono organizzate le strutture societarie delle squadre che hanno vinto lo scudetto negli ultimi 10 anni.

L'esempio più eclatante, quello portato a conoscenza del popolo azzurro da De Laurentiis nella conferenza stampa per l'addio di Benitez, è quello della Juventus. La domanda che ronza nella testa del patron è la seguente: perché nelle ultime due stagioni, quelle vissute con l'intento del salto di qualità, la Vecchia Signora ha speso 50 milioni meno del Napoli e ha vinto due scudetti con oltre 20 punti di vantaggio sugli azzurri? Se poi andiamo indietro nel tempo, riportandoci all'inizio della gestione De Laurentiis, ci accorgiamo che il Napoli ha il decimo saldo passivo (differenza entrate/uscite) al mondo dietro ManCity, Real Madrid, Chelsea, Barcellona, Manchester United, Psg, Liverpool, Bayern e Zenit, in virtù del -213 milioni di euro sui complessivi 389 investiti nell'acquisto dei cartellini. I soldi sono stati spesi, talvolta non bene, proprio per la carenza di quella organizzazione societaria che il patron ha in mente di mettere in piedi in tempi anche brevi. Il secondo punto è legato alla capacità di individuare il meglio che occorre per la competitività della squadra. "La Juventus ha acquistato Tevez a 9 milioni e Pogba a parametro zero, confermando che non è necessario prendere calciatori da 40, 50 o 60 milioni", il riferimento di De Laurentiis è corretto, ineccepibile, ma bisognoso di due passaggi per l'applicazione pratica del concetto. Il primo è quello della tempestività: il Napoli è società in grado di anticipare tutti sul tempo? La risposta è "no", se si considera la necessità che il ds segnali il nome al presidente, che lo stesso si convinca, che poi il contratto passi dalle mani dell'amministratore Chiavelli e che il calciatore accetti di cedere tutti i diritti di immagine. Un percorso ad ostacoli che non sempre i rinforzi individuati hanno piacere di affrontare. Secondo punto: l'ingaggio. I calciatori presi a zero accettano di giocare per squadre che gli garantiscono contratti migliori e il Napoli finora non è stata la società che ha fatto prevalere la logica dell'ingaggio maggiore sul risparmio sul cartellino. Tutte queste considerazioni saranno state fatte certamente dal presidente e dal suo staff con la conclusione logica che non basta prendere grandi allenatori con i calciatori più forti, se dietro al campo di gioco non c'è una struttura armoniosa, affiatata, dove ognuno abbia dei compiti precisi. E dove il presidente possa fare, debba fare, soltanto il presidente.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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