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Milan, Inter e lo sfascio tecnico di due glorie del calcio mondiale: le colpe di Mazzarri (e i dettagli dell'ultimatum firmato Thohir), quelle di Inzaghi (e la sua prevedibile condanna).

di Fabrizio Biasin
Nato a Milano il 3/7/1978, laureato in Scienze ambientali presso l'Università dell'Insubria di Como, da ottobre 2008 è Capo Servizio Sport presso il quotidiano "Libero". Opinionista Rai, TeleLombardia e Sportitalia
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© foto di Federico De Luca

È stato il fine settimana delle balle, intese come frottole, scuse, bugie, supercazzole, del rumore delle unghie sugli specchi, delle parole messe una in fila all'altra per nascondere drammatiche verità e cioè che il calcio, a Milano, non è alla frutta, semmai al conto. Solo che non ci sono i danè per pagarlo, il conto, e quindi molto probabilmente toccherà lavare i piatti.
Ci riferiamo soprattutto agli allenatori di Inter e Milan (in rigoroso ordine alfabetico), per motivi diversi finiti al patibolo. E allora poche ciance, qua sotto proviamo a raccontarvi la nostra versione su quello che è successo, quello che sta capitando e quello che sta per accadere in casa di due club che insegnavano al mondo cosa vuol dire "fare calcio" e ora sembrano essere sprofondati in crisi di difficile soluzione.

MAZZARRI E LA SINDROME DEL TECNICO "MAI ESONERATO"

Sabato la Reggina ha perso a Parma. Come dite? Era l'Inter? Eppure sembrava la Reggina. Quella di Mazzarri ovviamente. Anzi no, perché quello era uno squadrone con palle atomiche rispetto a quello sceso in campo al Tardini. E il punto è tutto qui: il tecnico dell'Inter continua a trattare la sua squadra come se fosse un club di provincia e non si rende conto che senza un rapido cambio di mentalità mai uscirà dalle sabbie mobili in cui è finito.
In serie A si può perdere contro chiunque, per carità, anche contro l'ultima in classifica, ma non così. Non senza lottare, non facendo vivere al buon De Ceglie la serata più bella della sua vita dai tempo in cui realizzò una tripletta al torneo del Grest 1998, non dando ai tifosi della Beneamata l'impressione di essere nelle mani di un tecnico che per provare a ribaltare un risultato passa dal disastroso 3-5-2 all'immaginifico "fate un po' come vi pare, ma fatelo". Diciamo la verità: gli 11 giocatori scesi in campo nel secondo tempo si muovevano senza logica, quasi si fossero trovati per la prima volta nel parcheggio del Tardini. Parevano, insomma, elettroni impazziti.
L'Inter è una squadra più che decente divenuta indecente a causa di tutta una serie di infortuni e guai che però potevano e dovevano essere previsti. Soprattutto, però, è una squadra guidata da un allenatore che non ha ben capito cosa voglia dire essere il leader di un club di primissima fascia, per lo meno quanto a blasone. Saper comunicare è prerogativa fondamentale per tenere dritta la nave nella burrasca; Mazzarri, invece, quando prova a giustificarsi peggiora drammaticamente le cose, getta bicchierate d'acqua all'interno dei compartimenti stagni, quasi a voler accelerare il processo di inabissamento del barcone nerazzurro.
Se perdi contro il Parma non ti puoi nascondere dietro a ovvietà come "giocano sempre gli stessi", "ho fatto entrare i ragazzini", "basta vincerne un paio per stare a contatto con il gruppone delle terze". Cose vere, per carità, ma che valgono per tutte le altre 19 squadre di serie A. Per intenderci: il Chievo "prova a vincerne un paio", l'Inter - anche quella attuale brutta e incerottata - scende in campo per vincerle tutte, soprattutto se affronta l'ultima in classifica. Se perdi contro il Parma nel post-partita hai bisogno di trenta secondi trenta, non uno di più: "Chiedo scusa a nome di tutti, abbiamo fatto ridere, non abbiamo giustificazioni, da oggi alla prossima partita sputeremo sangue per trovare una soluzione. Arrivederci e grazie per la pazienza". Dire: "So io cosa devo fare ma non lo spiego certo a voi", significa giocare al "Terzo segreto di Fatima", significa alzare in maniera poco furba il livello dell'incazzatura interista. Poi non puoi meravigliarti se ti bombardano di fischi. Dice il mister: "Fate pure, tanto io non li sento" quando invece dovrebbe limitarsi a essere un filo paraculo, giusto un po'. Basterebbe un "farò tutto il possibile per far cambiare idea alla gente perché il nostro pubblico si merita di più". Stop. E invece niente, Walter getta benzina sul fuoco e francamente non si capisce a che pro.
Poi ci sono quelli che difendono il tecnico perché "cosa deve fare se il mercato dell'Inter ha portato giocatori di secondo livello". Solo che il mercato è stato fatto in totale accordo con l'allenatore e con la promessa che l'allenatore stesso avrebbe trovato alternative al monotono 3-5-2. E invece niente perché "non c'è stato tempo per provare schemi alternativi". Così l'irriconoscibile Vidic si trova a dover reimpostare il suo stile di gioco dopo dieci anni di gloriosa difesa a 4 per assecondare il presupposto decisamente arrogante che sono i giocatori che devono adattarsi alle idee del tecnico e non viceversa. Mah...
Ora tocca a Thohir. L'ultimatum all'allenatore c'è ma non si vede.Giovedì il presidente tornerà in Europa per seguire la squadra in Francia e per faccende legate al fair-play. È chiaro che gli impegni contro St. Etienne e Verona saranno decisivi per il futuro del tecnico al di là delle chiacchiere e dei peana tipo "la fiducia nell'allenatore è incondizionata". Nuovi rovesci renderebbero la situazione ingestibile e in quel caso neanche il contratto da 3.3 milioni di euro netti a stagione fino al 2016 basterebbe a Mazzarri per azzannare il cosiddetto panettone. Chiede il lettore: "In quel caso chi subentrerebbe in panchina?". La verità è che al di là di una chiacchierata informale con l'entourage di Mancini, non sono state sondate altre piste. Zenga è una possibilità ma in questo momento solo per questioni legate al gradimento della piazza. Come dire: Thohir vuole assolutamente proseguire con Mazzarri, dovessero precipitare gli eventi... Si troverà con le chiappe scoperte.

INZAGHI E IL DIFETTO IMPERDONABILE DI CHI VUOLE ANDARE D'ACCORDO CON TUTTI

Il Milan ha perso e non se lo aspettava nessuno. "Cose che succedono" dice qualcuno, ma non così. A differenza di quel che è accaduto sull'altra sponda del Naviglio in casa rossonera si è pagato l'eccesso di entusiasmo, quello di un allenatore acerbo a cui è stato affidato un compito decisamente complicato: nascondere tonnellate di problemi troppo in fretta trasformati in "ex problemi".
Le colpe sono di tutti: proprietà, dirigenti, giocatori. In questo momento, però, soprattutto di un tecnico che dopo un buon inizio sta sbagliando troppo, dentro e fuori dal campo. Le formazioni messe in campo contro Fiorentina, Cagliari e Palermo non erano "made in Pippo", erano "ibridi", puzzle messi insieme per accontentare presidente e giocatori sotto-utilizzati. Così non si diventa grandi tecnici, al limite si prova a diventare "amici di tutti". Solo che nel calcio come nella vita, chi prova ad accontentare le masse molto spesso finisce per scontentare tutti. Se Berlusconi chiede di giocare con Torres e tu in quella zona del campo preferisci schierare Menez, devi avere la forza di portare avanti le tue idee, anche a costo di perdere. Tanto alla fine del campionato nessuno conterà quante volte hai giocato con la prima punta, ma tutti guarderanno quanti punti hai raccolto in classifica.
Al limite la domanda senza risposta è: perché è stato ingaggiato il bomberone spagnolo se il mister non lo voleva?
E ancora, Inzaghi dopo il ko con il Palermo di Iachini (lui sì vero maestro della panchina) è stato perfetto: ha chiesto scusa, ha promesso "fatti". Perfetto anche Galliani, bravissimo a proporre il "premio per l'eventuale qualificazione alla Champions", anche se a qualcuno è sembrata quasi una presa per i fondelli (ma come, si perde col Palermo e si parla di premi? E se si va sotto con la Samp cosa succede, saltano fuori i premi scudetto?). Nulla da dire, insomma, quanto a comunicazione e unità d'intenti, ma viene facile proporre un parallelo con quanto successo nei primi sei mesi del 2014. Seedorf non piaceva ai giocatori, litigava con i giornalisti, era mal sopportato dalla sua stessa dirigenza e un certo punto persino dal presidente che lo aveva imposto. Era, insomma, l'esatto opposto di Inzaghi, solo che in un modo o nell'altro, con le sue idee e con un Milan certamente meno forte, nel girone di ritorno è riuscito a conquistare un quarto posto complessivo di tutto rispetto, salvo poi essere allontanato come se fosse la sola causa del disastro rossonero.
Il resto sono questioni legate al mercato: di Torres abbiamo detto, Menez sta palesando i vecchi difetti legati alla continuità, Alex è forte davvero ma paga evidenti limiti fisici, Honda è pericolosamente tornato ai livelli della scorsa stagione, Van Ginkel non ha mai giocato e comunque appartiene ad altro club, Armero invece è un giocatore del Milan ma probabilmente non lo sa neanche lui, Bonaventura è un ottimo acquisto ma arrivato solo perché Zaccardo ha detto no al Parma, Diego Lopez è tornato in porta e quantomeno sembra avere riacquistato fiducia. In tutto questo il centrocampo è sguarnito, non esiste un terzino sinistro di ruolo da un'eternità e i giovani che dovevano esplodere (El Sharaawy, De Sciglio, Saponara) sembrano in una pericolosa fase di involuzione. Per Pippo, insomma, non sarà facile conquistare il "premio Champions", soprattutto ora che il Napoli è tornato ai livelli che gli spettano, la Lazio è esplosa e la Samp ha trovato un tecnico con le idee assai chiare.

ALLEGRI E IL MATCH CHE CAMBIA LA STAGIONE

Oggi, infine, tocca alla Juve di Allegri. Non è una partita qualunque, lo sa anche mia sorella. La sensazione è che il turnover imposto in campionato dal mister bianconero questa sera possa dare i suoi frutti, viceversa tornerebbero a galla certe dichiarazioni di Conte vecchie di qualche mese. Diciamo la verità: dire addio alla Champions nella fase a gironi per il secondo anno consecutivo sarebbe un vero dramma. La Signora questa sera ha l'obbligo di esportare le sicurezze acquisite in campionato e di battere l'abbordabile Olympiacos, viceversa per Allegri si aprirebbe la stagione dei fetentissimi processi mediatici.

Ps. Lo so, oggi siamo stati fin troppo seri: praticamente neanche una minchiata. Il fatto è che mi sono imbattuto nell'altissimo scambio di battute Bobo Vieri-Carolina Marcialis (ovvero miss Cassano) a proposito di "mogli che difendono i mariti calciatori sui social" e ho capito che anche impegnandomi non avrei mai potuto scrivere niente di meglio.

BOTTA E RISPOSTA BOBO-MARCIALIS - "Caro Gabriele, hanno sbagliato. Stop. Poi ve lo spiegherò". Così Vieri sulla bacheca Facebook del giornalista Gabriele Parpiglia. Dopo la replica di Antonini ("Se va bene a me, che problemi avete voi?"), è arrivata quella della Marcialis: "Beh che Vieri dica che hanno sbagliato quando si è sempre messo con donne dello spettacolo che hanno sempre messo becco nella sua vita calcistica partecipando anche a trasmissioni ...diciamo che forse è meglio che non dia consigli alle mogli degli altri giocatori che hanno avuto un normalissimo sfogo di rabbia causato da malumori che i mariti portano a casa ...detto ciò era una precisazione non un attacco!". La replica di Vieri: "E tu chi sei? Nessuno ha mai messo bocca nelle mie cose di calcio. Quindi informati prima di parlare". Controreplica della signora Cassano: "Adesso che dici: tu chi sei? Ti senti più importante? Stai sereno ripeto era una precisazione era solo x dirti che magari la prossima volta dai consigli su altro argomento...anche perché stai mentendo e lo sai anche tu e cmq 10 anni fa non c'erano tutti questi social, quindi magari era un po' diverso e con questo non ti sentire di nuovo attaccato, non ti sto dando del vecchio ahahahah". La signora Antonini ha infine invitato tutti a cena a Milano per un fondamentale chiarimento.
Povera Italia.
(Twitter: @FBiasin)

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