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Lutto: addio a Caleffi uno dei guerrieri di Guido Mazzetti

di Redazione TMW.
Fonte: amaranta.it
riportiamo sotto una bella intervista a Caleffi di Vinicio Saltini per IL TIRRENO pubblicata il 10 giugno 2009 in suo ricordo
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E' venuto a mancare Gianni Caleffi, giocatore del Livorno degli anni Sessanta. Caleffi, difensore, era nato il 13 agosto 1937 a Traversetolo in provincia di Parma, ma si era trasferito con la famiglia in Uruguay, dove aveva iniziato a giocare a calcio ed aveva debuttato con la prestigiosa maglia del Nacional Montevideo.
Arrivato in Italia nel 1961 al Padova in Serie A, era passato al Livorno nel 1962 e in maglia amaranto rimase fino al 1969 collezionando 180 presenze e siglando complessivamente 5 reti, non poche per un coriaceo marcatore delle retroguardie. Con il Livorno vinse, nella stagione 1963-64, il campionato di Serie C venendo promosso in B. Nel 1969 passò al Parma, con cui si aggiudicò il campionato di Serie D del 1969-70 e giocò i due successivi anni in C.
Tutti noi esprimiamo le più sentite condoglianze alla famiglia

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da Il Tirreno - 10-06-2009

Caleffi, un guerriero uruguaiano da Mazzetti, a Carletto Parola e Remondini

Appuntamento in Baracchina Bianca a San Jacopo e di fronte all'immensa, meravigliosa distesa del nostro mare, Gianni Caleffi, il primo fra i guerrieri della troupe di Guido Mazzetti, proprio come ai tempi in cui venne a conoscere Livorno e ad indossare la maglia amaranto, regala subito alla sua intervista un assist degno del campione che è sempre stato: «Vengo spesso a Livorno a trovare i miei figli e ogni volta lo capisco sempre di più: questo è un mare da sogno e che alla mia vita di pur felice parmense, manca davvero tantissimo. No, a voi che mi avete conosciuto e avete appreso dal campo come son fatto, non devo spiegare che la mia non è piaggeria. E infatti è la pura verità, del resto suffragata da una doppia inconfutabile realtà: Claudia e Filippo, appunto i mei figli, livornesi che di più non si può e il Livorno -nessun'altra maglia indossata così a lungo- indubitabile squadra della mia vita».
Da Mazzetti, a Parola e Remondini - «Che ricordi! La mia in amaranto -spiega Caleffi- fu davvero una cavalcata meravigliosa. Mazzetti che tutti chiamavano "Il sor Guido", sapeva di calcio e pur sanguigno nel carattere, aveva grandi valori. Insomma, fra amore, odio e conquista della B, la giusta miscela per pensarlo con stima e nostalgia. Idem Parola, il mitico Carletto della Juve, della Nazionale e delle rovesciate che in amaranto incrociai per tre anni e che mi vedeva, cosa di cui ancor oggi vado orgoglioso, come il suo "cocco". E lo stesso Remondini, in apparenza ruvido, ma in effetti di una dolcezza unica. Tutti, come lo stesso Bonsanti, purtroppo accomunati da un triste particolare, la morte che come spesso accade per i migliori, se li è portati via troppo presto. E i ragazzi? Non chiedetemi scelte e del resto non potrei inventarmi differenze a proposito di compagni che, egualmente bravi, sono stati anche ottimi amici. Proprio un'eccezione? La faccio per i livornesi -loro ci tenevano a dire: "di scoglio"- da Mauro Lessi, a Balleri, Nastasio, Garzelli (che ancora incontro nei miei spostamenti labronici) e naturalmente Giampaglia che invece vorrei tanto poter ancora incontrare. E per per Claudio Azzali, splendido giocatore con il quale ebbi un ottimo feeling che, pure lui parmense e con una boutique ("Il Lord", un nome che è tutto un programma) a Salsomaggiore, dunque a due passi da casa mia, guarda il destino, non ho mai avuto l'opportunità di riabbracciare».
Sbardella e il Poliziotto - «Con l'arbitro romano, roba del '67-'68, finì -spiega Caleffi- in un'invasione degna di un film western e che infatti (inflitti ben 5 turni di squalifica poi ridotti a 4 al campo dell'Ardenza) vide in campo anche il regista Nanni Loy decisissimo nel sostenere la difesa di una Rai della quale erano stati danneggiati alcuni mezzi. Comunque seguo Marina Sbardella nel programma sportivo che conduce sulla "Sette", e ogni volta torno a dirmi che suo padre la fece proprio grossa: prima, un minuto al termine e noi sul 2-1, inventandosi una punizione. E poi, quando Strada l'aveva sbagliata, facendola ripetere, mentre ancora stavamo schierando la barriera». «Quanto poi al poliziotto -continua Caleffi- stavamo scontando a Empoli il nostro ultimo turno di squalifica del campo, avevamo concluso 0-0 col Foggia un match piuttosto combattuto e uscendo dal campo mi ritrovai al fianco, urlante e con la faccia brutta, un omone grande così che, naturalmente in borghese, mi dette l'impressione di voler alzare le mani. Ebbene, giocai d'anticipo, successe il finimondo e rischiai anche l'arresto. Perché venne a cercarmi nello spogliatoio, ma mi avevano detto che si trattava di un vicequestore e quando lui entrò per identificarmi, io ero già su una macchina proiettato, mezzo svestito, verso Livorno. Ma, dopo 180 presenze (che in 7 anni, anche se ormai ero diventato un "libero", arricchiti di 5 gol), altro se di episodi -vedi fra tutti l'altra scazzottata in amichevole contro il Milan, primi protagonisti Lessi e Dino Sani che poi fecero pace su un rimorchiatore in gita lungo il porto) e Cesare Maldini, giunto di rinforzo- potrei raccontarne. Ma, con voi livornesi così coloriti e burloni (e che fra l'altro mi volevate un gran bene) forse è meglio chiuderla qui».
Nato in Italia, ma... "oriundo" - «Proprio così. Perché -torna a raccontare Caleffi- io sono nato a Traversetolo, provincia di Parma, ma pur senza rinunciare alla cittadinanza italiana, fra i due e i tre anni, nel 1940, mi spostai in Uruguay, a Montevideo, dove già viveva un fratello di mia mamma Caterina e mio padre Giuseppe, purtroppo scomparso, aprì un negozio di scarpe. E proprio a Montevideo, universitario del secondo anno di odontologia, ma anche giocatore del Nacional (insieme al Penarol una delle due "grandi" d'Uruguay) fui chiamato in Nazionale e disputai anche tre partite, una di esse la finale per l'accesso al mondiale del 1962. Ricordo benissimo, il ct era Ondino Viera, brasiliano e titolare nel mondiale d'Inghilterra e magari (c'era anche Francescoli) avrei potuto avere anche un futuro importante. Solo che di me si cominciò a parlare anche in Italia e, arrivato in Uruguay come osservatore della Samp l'ex giocatore Renato Gei, non mancò l'offertissima che, sia pure da "straniero in casa propria" e con la Federazione Italiana a considerarmi "giocatore proveniente da Federazione estera", mi indusse a un rimpatrio che mi portò dalla Samp (che insieme a Morini, Frustalupi e Salvi aveva già anche i suoi tre stranieri in Ochwirk, Skocklund e Cucchiaroni) al Padova dove al provino fui promosso dal grande Nereo Rocco, "paron" in partenza per il Milan, e quindi -dopo aver sfiorato la Roma di Schiaffino e su consiglio di Gipo Viani («Vai lì, se vinci il campionato ti fanno un monumento e ci stai da Dio»)- finalmente al Livorno. In ogni modo, tornando all'Uruguay, una parentesi d'oro. Proprio lì, ricordo nei ricordi, nacque fra l'altro mio fratello Edoardo, 15 anni meno del sottoscritto, oggi primario a Parma del reparto di chirurgia estetica, nonché fra i responsabili del Centro Ustioni d'Eccellenza in Italia».
Fine carriera - «Come spesso accade -conclude un Gianni cambiato solo nel colore dei capelli- un ritorno a casa, a Parma, dove mi trovo benissimo, aprii anche un importante laboratorio di pelle e pur con la tessera, deluso dal calcio d'oggi, non vado più alle partite da un pezzo. Io, in biancoscudato? Sotto Del Grosso e Angeleri, c'erano giocatori come Mora, Rancati, Soncini e arrivati anche Dino Fava con me in amaranto e Bruno Gioia ex Pisa, fu quindi bello anche qui. Diciamo... quasi come a Livorno»!
- Vinicio Saltini

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