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ESCLUSIVA TMW - Simone Lucchesi, un preparatore italiano nei Cosmos di Pelé

di Ivan Cardia

Edson Arantes Do Nascimento, al secolo Pelé, aprì le porte. Il brasiliano fu il primo grande calciatore, nel lontano 1975, ad accettare la corte di una squadra statunitense, sposando per tre stagioni la causa dei New York Cosmos. Lo seguirono, sul finire degli anni '70, altri grandissimi del calcio, sudamericano ed europeo, come Carlos Alberto, Franz Beckenbauer e Giorgio Chinaglia. Pionieri del calcio in un Paese dove la parola football sta ad indicare uno sport completamente diverso. La prima grande infornata di campioni avrebbe dovuto rappresentare l'occasione per il soccer di attecchire negli USA, vogliosi di primeggiare anche nello sport più popolare al mondo.

Le cose non sono andate esattamente secondo i piani, perché a tutt'oggi la Major League Soccer e la North American Soccer League, le principali leghe calcistiche nordamericane, sono ancora più simili a pensioni dorate per fuoriclasse sulla via del tramonto, come testimoniano i recenti trasferimenti di giocatori come Frank Lampard o David Villa. Qualcosa sta cambiando anche da quella parte dell'Oceano però: finalmente team USA è riuscito davvero a spaventare le grandi in occasione dei recenti Mondiali, eliminando il Portogallo di Cristiano Ronaldo nella fase a gironi; finalmente anche da New York e dintorni, piuttosto ampi per la verità, arrivano calciatori in grado di fare la differenza nel caro Vecchio Continente. Da Alexi Lalas, difensore del Padova a metà degli anni '90, a Michael Bradley, in sostanza titolare nella Roma 2012/2013, passando per Landon Donovan, il passo non è stato brevissimo, ma oggi anche le grandi d'Europa seguono con interesse i robusti giovanotti d'oltreoceano, ragazzi di prospettiva come DeAndre Yedlin e Matt Besler.

Per capire qualcosa in più di un movimento ancora poco conosciuto, abbiamo contattato Simone Lucchesi, preparatore atletico, approdato l'anno scorso proprio ai New York Cosmos di cui O Rei è presidente onorario.

Che percorso ha seguito la sua carriera in Italia e come è arrivata l'occasione di lavorare negli Stati Uniti?
"In Italia ho lavorato al Grosseto, poi sono stato chiamato al Siena da Giuseppe Papadopulo, con cui successivamente ho collaborato anche alla Lazio e al Lecce. Dopo le nostre strade si sono divise e ho proseguito con Mezzocorona e Gavorrano, prima di approdare alla Sampdoria. Ho sempre cercato un'opportunità all'estero per capire come lavorano gli altri, ragion per cui ho contattato Giovanni (Savarese, attuale allenatore dei NY Cosmos, ndr), che ha giocato anche in Italia e mi ha aiutato molto anche con la lingua. Mi ha chiamato qui lo scorso anno, quando i Cosmos sono tornati a giocare dal lontano 1984, e mi sono trasferito qui non appena terminato il mio contratto con la Sampdoria. Quando sono arrivato tutto era in costruzione, non avevamo neanche le magliette nonostante il campionato iniziasse a meno di un mese di distanza".

Come funziona la NASL e che differenze vi sono rispetto alla più famosa MLS
"Qui il campionato è diviso in due fasi: la spring season, che va da inizio marzo a giugno, anche se quest'anno è stata più breve per via dei Mondiali, mentre poi da luglio a fine ottobre si disputa la fall season. Le due vincenti e le due seconde disputano poi dei playoff per giocare la finale, il cosiddetto Soccer Bowl, che noi abbiamo vinto l'anno scorso, quando abbiamo preso parte solo alla fall season. Noi partecipiamo alla North American Soccer League, che è una lega completamente differente dalla Major League Soccer. Quest'ultima è quella attualmente più famosa, anche per le differenti possibilità economiche. Però a livello tecnico non ci sono grandi differenze, dato che nella US Open Cup siamo riusciti a battere 3-0 i New York Red Bulls, nonostante abbiano un budget cinque volte superiore al nostro. Per iscriversi in MLS bisogna poi rispettare determinati parametri, come ad esempio la necessità di avere uno stadio di proprietà. La NASL invece è rinata da circa 3 anni, dopo la sua chiusura negli anni '80, con l'obiettivo di espandersi nei prossimi anni. Non è propriamente una seconda divisione, in quanto in realtà si tratta di leghe differenti. D'altra parte, le distanze qui in America sono molto diverse da quelle europee, ci sarebbe spazio per fare venti campionati diversi".

Che rapporto ha Pelé con la squadra?
"Pelè è il nostro presidente onorario, il nostro uomo immagine che partecipa a tutti i momenti celebrativi più importanti. Abbiamo fatto un ritiro pre-season negli Emirati Arabi grazie al nostro sponsor Fly Emirates e Pelé è venuto ad inaugurare il centro sportivo nel quale ci siamo allenati. Non viene sempre, però ad esempio nella prima partita del campionato è sempre con noi, il suo compito è portare in alto l'immagine dei Cosmos".

Come vivono gli statunitensi il calcio rispetto agli altri sport?
"Qui in America conta molto l'entertainment, ma a livello calcistico hanno le potenzialità per raggiungere il livello del basket. Potrebbero avere una scelta di giocatori incredibile, però manca il metodo, non hanno secondo me tecnici bravi per farli crescere".

Quali sono le principali differenze nel metodo di lavoro rispetto all'Europa?
"A livello fisico lavorano tantissimo, come nel football, ma poi magari hanno gravi carenze tecniche. Creano a livello dei college dei fisici incredibili, ma messi in campo i ragazzi sono un po' impacciati, anche perché restano nei college fino a 21 anni, quando un calciatore deve essere già pronto ormai. La principale differenza credo stia nella maggiore attenzione dedicata al lavoro fisico ed atletico rispetto a quello tecnico. Ai Cosmos stiamo cercando di cambiare un po' la filosofia, creando una squadra che giochi in maniera anomala rispetto alle altre, che giocano molto sul lancio lungo e sulla seconda palla, mentre noi cerchiamo di fare più gioco palla a terra. Il nostro giocatore più rappresentativo è Marcos Senna, ma abbiamo anche un italiano come Noselli, uno spagnolo come Ayoze o il brasiliano Rovérsio, siamo una buona squadra. Certo, rispetto ai livelli della Sampdoria che è stata la mia ultima esperienza italiana, c'è un divario molto ampio a livello tecnico, ma si lavora molto bene".

Qualche aneddoto sulle differenze tra la vita dei calciatori negli USA ed in Italia?
"Sono rimasto stupito ad esempio dall'alimentazione che seguono i calciatori: da noi prima della partita si sta molto attenti a cosa mangiare, a rimanere leggeri. Qui invece prima delle partite ho visto mangiare di tutto, dalle patatine fritte agli hamburger, come fosse un matrimonio. Poi però in campo corrono tantissimo. Penso che quando si lavora all'estero non si debba provare a cambiare la cultura degli altri e lo stesso rispetto bisogna avere per chi viene a lavorare in Italia, dando il tempo per adattarsi a sistemi di allenamento e ritmi di vita completamente diversi, bisogna avere pazienza anche con i calciatori che arrivano dall'estero".

Quali sono le sue prospettive future?
"Io ho sempre il sogno di andare in Inghilterra, anche se il mio primo sogno era lavorare alla Lazio, che è la mia squadra del cuore e ci sono riuscito. Però qui non si sta certo male, lavoro con uno staff multietnico che mi ha accolto molto bene, siamo un mix di persone di nazionalità diverse ed abbiamo formato un gruppo veramente forte".

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