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ESCLUSIVA TMW - Nakata si racconta: "Con Prandelli non ci siamo capiti. Ho smesso perché non mi divertivo più"

di Chiara Biondini
Fonte: di Cristina Guerri per TMWmagazine.com
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© foto di Federico De Luca

Una mosca bianca nello stereotipato mondo dei calciatori. Hidetoshi Nakata ha scelto di appendere le scarpette al chiodo ancora giovanissimo come racconta ai microfoni di TMWmagazine.com. "Il motivo? Non mi divertivo più. Ho preferito scoprire cosa c'è nel mondo, e devo dire che ho imparato molto".

Lo dice sorridendo. E' un freddo ma assolato pomeriggio londinese. Nakata ha da poco intervistato Josè Mourinho, tecnico del Chelsea, per una televisione giapponese. E di questo parla. Del sakè. Di Rio. Di Perugia. Della sua valigia. E dei sogni per il futuro. Partiamo dal suo ritiro. Aveva ancora un ricco anno di contratto con la Fiorentina, cosa l'ha spinta a dire basta con il calcio giocato? "Giorno dopo giorno capivo che il calcio era diventato solamente un grande businnes. Avvertivo che si giocava solo allo scopo di guadagnare, non per il gusto di divertirsi. Ho sempre pensato che una squadra fosse come una grande famiglia, ma non avvertivo più questa sensazione. Ero diventato triste. Per questo ho smesso così presto: a 29 anni ero già un ex giocatore".

Ha mai pensato di ricominciare? "Tante volte, e qualche volta ci penso ancora adesso, all'età di 37 anni. Ma una volta presa la decisione di ritirarmi non potevo tornare indietro".

Totti, suo ex compagno di squadra alla Roma, gioca ancora e ha la sua stessa età. "Lo stimo tanto e sono contento per lui. E visto che siamo coetani e lui gioca ancora a calcio mi sento decisamente più giovane. Non abbiamo giocato molto spesso insieme alla Roma perché ricoprivamo lo stesso ruolo, ma lo guardavo con tanto rispetto".

Prima della Roma c'è il Perugia. Come nacque questa opportunità? "Premetto che prima del Perugia fu la Juventus a farsi avanti. Sostenni a 19 anniun provino con la Primavera bianconera. In un mese non feci nemmeno un allenamento con la prima squadra. Tornai in Giappone, consapevole però di voler giocare in Italia, un giorno. Dopo il Mondiale in Francia del '98, poi, firmai col Perugia. Mi osservarono numerose squadre durate il ritiro in Svizzera con la Nazionale, ma il club di Gaucci fu quello più convincente".

La Juventus la affrontò alla sua prima partita in Italia. Non andò male... "Esordii con una doppietta, anche se perdemmo quella partita per 4-3". Essendo il secondo giocatore asiatico nella storia della Serie A (dopo il flop Miura) non sarà di certo stato accolto con pieno ottimismo... "All'inizio in pochi credevano in me, dalla stampa ai miei compagni di squadra avvertito molto scetticismo. Nessuno era abituato all'idea di avere un giocatore giapponese in squadra, ma dopo poco in tanti si resero conto del mio valore. E dopo quella partita con la Juventus sentii il vento cambiare".

Dal Perugia alla Roma il passo fu breve. In appena due anni si trovò nella squadra più forte del campionato. "Sono stato molto bene a Perugia, sia come calciatore che come uomo, tanto che ancora oggi rimane la mia seconda casa. Ma il passaggio alla Roma cambiò decisamente la mia carriera".

In giallorosso vinse pure lo Scudetto. "Eravamo una squadra fortissima, e nonostante le poche presenze sono contento di come sono andate le cose. Ho imparato dai grandi campioni".

E' suo il gol che valse lo Scudetto, ancora una contro la Juventus. "Quel gol, molto fortunoso devo dire, contribuì a cambiare anche il mio rapporto coi tifosi della Roma. Tutti furono ovviamente contenti, ma personalmente non potevo vivere solo di quella soddisfazione. Anche se ancora oggi qualche tifoso giallorosso mi ringrazia per questo".

Per questo motivo decise di andarsene al Parma? "Principalmente sì. A Roma c'era una bellissima atmosfera, ma la mia scelta era di cercare più spazio altrove".

Cosa si ricorda dell'esperienza in Emilia? "Il primo faticai ad ambientarmi, ma avevamo una bella squadra, vincemmo pure la Coppa Italia. Io segnai nella finale di andata contro la Juventus, stranamente! Tutto sommato furono due anni piacevoli".

Poi Bologna e infine Fiorentina. "A Bologna ritrovai Carlo Mazzone in panchina, l'ambientamento fu dunque più semplice. A Firenze non mi sentivo più a mio agio sui campi di calcio". Ci spieghi meglio. "Tutti si aspettavano tanto, forse troppo. Fu un anno difficile per me e per tutta la società. Soffrii in certi momenti, ma questo non lo considero un aspetto negativo. Penso infatti che la sofferenza talvolta possa portare a una maturazione diversa". La sofferenza l'ha portata in Inghilterra, al Bolton. "Non me ne andai per sfuggire alle difficoltà, volevo semplicemente cambiare aria e provare una nuova esperienza. E freddo a parte fu bello giocare in Premier League. Ma ad un certo punto sentivo il bisogno di smettere".

Smise e cominciò a scoprire il mondo. "Presi la decisione di cominciare a viaggiare da solo. Noi calciatori viaggiamo tanto per le partite, ma alla fine non vediamo niente, solo aeroporti, alberghi e stadi. Non sapevo cosa fare, così decisi di scoprire cosa stava succedendo nel mondo. Ho viaggiato per due anni, sono stato in più di cento paesi..."

E cosa ha scoperto? "Oltre a posti bellissimi ho capito quanto sia importante il calcio a livello mondiale. Ho fatto tappa in diversi paesi, e ovunque andassi venivo riconosciuto. E non perché fossi il giocatore più forte di tutti i tempi. Il calcio è un veicolo incredibile. Ho capito questo, e il fatto che potevo utilizzare questo veicolo per fare tante cose". Ovvero? "Aiutare la gente, collaborare con altri paesi, imparare nuove lingue, nuove culture. Nessuno sport è più grande del calcio, e io lo vorrei sfruttare come ponte per tanti progetti".

Nel 2008 ha chiamato a sé anche Mourinho per una partita di beneficenza. "Fu molto carino, guidò la squadra avversaria contro le star del Giappone. Per quanto mi riguarda gioco sempre volentieri le partite di beneficenza, ho ancora tanta voglia di mettere gli scarpini".

Chiudiamo in pillole. Il miglior tecnico che l'ha allenata? "Capello è uno dei migliori, chiaramente. Però ho imparato tanto da tutti: da Boskov a Mazzone fino a Prandelli, anche se con lui ho avuto qualche problema a Parma". Quali? "Non solo con lui, a dir la verità. Avevamo semplicemente idee diverse. Ho sempre cercato di far capire a tutti quale fosse il mio pensiero, sono fatto così. Niente di personale, insomma. Ho incontrato Prandelli in occasione della scorsa Confederations Cup in Brasile. Ci ho parlato, ho pranzato con la Nazionale. E' stato piacevole".

Lei è il primo giocatore asiatico ad aver avuto successo in Europa. Si sente un simbolo? "Un simbolo mi sembra un termine eccessivo, non ci fossi stato io sarebbe toccato a qualcun altro, prima o poi. Non ero il più calciatore più bravo del mio paese, non ho mai pensato di esserlo. Sono stato solo più fortunato. Anzi, tecnicamente ero anche scarso, non mi rimaneva altro che correre più degli altri".

Si è sentito usato dagli sponsor? "No, per niente. Ho sempre creduto in me stesso e alle mie qualità". Cosa pensa oggi dei calciatori asiatici che cercano fortuna in Europa? "Adesso è più facile arrivare in Europa. Ma penso che il calcio giapponese si sia evoluto, i giocatori sono molto più forti e tecnici".

Non solo calciatori. In Europa arrivano anche gli investitori asiatici, come Thohir. "E penso che non sarà il solo. C'è voglia di investire nel calcio, perché come ho detto è lo sport che unisce tutto il mondo. In questi ultimi tempi c'è però la voglia di scoprire anche la nostra di cultura; magari fra qualche anno vorranno venire tutti a giocare da noi".

Capitolo Nazionale: come vede il suo Giappone in Brasile? "I Mondiali non sono facili per nessuna squadra. Non c'è mai una partita semplice. Penso che il Giappone non debba pensare alle squadre che affronterà (Colombia, Costa D'Avorio, Grecia, ndr), ma soltanto ad esprimersi bene sul campo. Il fatto che molti Nazionali giochino in Europa significa tanto".

Grazie anche a Zaccheroni? "Senza dubbio sta aiutando la squadra a crescere. E' bravo, serio, non sembra nemmeno italiano (ride, ndr). E' molto tattico, tiene la squadra unita con le sue idee e i giocatori stanno imparando tanto da lui".

Adesso cosa fa Nakata? "Penso sia importante che ognuno porti con se la propria cultura e cerchi di diffonderla nel mondo. Io cerco di fare questo. Che si tratti di moda, design, sakè. Recentemente ho mi sono dilettato anche nel giornalismo televisivo, non escludo un futuro sul piccolo schermo". Produce vino? "Ho disegnato una bottiglia di sakè di mia produzione. Poi aprirò un sakè bar nel periodo dei Mondiali a Rio De Janeiro, e l'intenzione è quella di aprirne uno anche a Milano per la Expo del 2015".

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