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Batistuta: "Tornerei nel calcio, ma con un ruolo che mi dia soddisfazione"

di Chiara Biondini
Fonte: di Mario Tenerani per TMWmagazine
Chiuso col calcio, Gabriel Omar Batistuta è tornato a casa per vivere dell'amore dei familiari e dell'affetto degli amici di sempre. E proprio dall'Argentina, il Re Leone ha scelto di raccontare il suo "mondo ideale" in attesa di una nuova chiamata
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© foto di Mario Tenerani

Per conoscerlo fino in fondo, dentro le pieghe dell'anima, devi vederlo in Argentina. Il Re Leone lascia il posto a Gabriel, il ragazzo partito a 18 anni da Reconquista mettendosi in testa un'idea azzardata: "Non ero un campione, ma volevo diventare il centravanti più forte al mondo". C'è riuscito, ancora oggi è il capocannoniere della nazionale argentina, anche se Messi è in fondo al rettilineo pronto alla volata finale. Batistuta a casa sua è lo stesso di sempre perché niente lo ha cambiato e per niente sarebbe disposto a farsi cambiare. Se lo vedi in mezzo a queste praterie sconfinate in cui l'orizzonte affonda in una luce stupenda, tra mucche, tori e cavalli, capisci perché non ha nostalgia del traffico e di tutto ciò che si declini con caos. "Sto benissimo qui - ci racconta sorridendo -, quando mi capita di andare a Buenos Aires, dopo due ore sono già stanco. Troppe auto, confusione, traffico".

Non bluffa, è tutto vero. Bati è così, un uomo legato alla sua terra incontrovertibilmente. Ama i silenzi della campagna, i sussurri del fiume - il Rio Paranà bagna anche Reconquista -, i cavalli che monta anche per interminabili sfide a Polo -, le mucche che alleva in insieme al padre, le cene con gli amici di sempre, dove l'asado è il filo conduttore. E il mathe bevuto in ogni istante della giornata. Una vita scandita da cose semplici, ingranaggi fondamentali della sua esistenza. E poi il ballo, antica passione. Lui e Irina si sono conosciuti da ragazzini, erano vicini di casa. Lei era una ballerina bravissima, per un periodo ha anche insegnato danza. "Io sì che ero un ballerino, si è innamorata di me anche per questo..." e scoppia a ridere, mentre lei lo guarda con tono di sfida.

IO E LA TERRA - Anche in Italia è così. Chi nasce in campagna e finisce con lavorarci, matura un rapporto viscerale con le sue zolle. Un cordone ombelicale che non si rescinde mai. Batistuta ama nello stesso modo la sua terra. E' difficile per chi lo ha sempre visto scorrazzare su un campo di calcio o ripreso dalle telecamere di tutto il pianeta mente segnava, immaginarlo a distanza siderale dal divismo allo stato puro.

Lui è "gaucho" dentro: certo, del terzo millennio, ma se lo togli da lì, gli strappi il cuore: "E' stato bravissimo mio padre Osmar - ci racconta - che ha saputo ripartire da zero. Ha sempre avuto una testa da manager anche quando fu costretto ad andare a lavorare ai macelli di Reconquista. Entrò all'ultimo livello e se ne andò da direttore generale. E dopo, grazie anche alla mia professione, abbiamo cominciato a comprare terra e ad allevare mucche. La nostra è una razza pregiatissima, Bradford". La prateria Argentina è bellissima, ci sono luci e colori unici. Gabriel ogni tanto sale a cavallo o sul fuoristrada a va controllare: "Mi rilasso, magari un altro si annoierebbe, mentre per me questa è la vita". Quando il suo trisnonno partì da Cormos, quel paesino era ancora Austria, sotto il controllo dell'imperatore Francesco Giuseppe. Dopo la "grande guerra" Cormons è diventato Friuli. Ma i profili del carattere nella famiglia Batistuta sono più vicini al pragmatismo teutonico che alla dolce confusione italiana: "Mio padre ha avuto il merito di dare un metodo e un'organizzazione precisa, che onestamente mancava da queste parti. E' rigoroso sul posto di lavoro, ma generoso con i suoi collaboratori. Ha fatto studiare i figli di alcuni dipendenti che non avevano possibilità e quando si sono laureati l'ho visto commosso".

La "Batistuta&Batistuta" è l'azienda più grande della regione di Santa Fè e una delle più importanti d'Argentina. Quando assaggi quella carne fai fatica a mangiarne altra. "Ma a me la vostra fiorentina piace, ne ho mangiata tanta per nove anni...". E quando il caldo picchia - in certi momenti dell'estate argentina a Reconquista il barometro arriva a 45 gradi, temperatura percepita 47-48 - praticamente un martello pneumatico, c'è il Paranà, uno dei fiumi più grandi in assoluto: "Adoro pescare - sorride Gabriel - i dorados sono pesci buoni e belli a vedersi, hanno colori stupendi. Il fiume per noi qui è come il mare per gli italiani. Fin da piccoli impariamo a nuotare e a divertirci. Trascorriamo le nostre vacanze e i nostri fine settimana. Facciamo sci nautico, andiamo sulle moto d'acqua. E' un amico. E poi sto bene quando spengo il motore della barca e sento parlare solo la natura". Lungo il fiume, in mezzo alla vegetazione, scorgi mucche al pascolo e casa fatiscenti degli indios che vivono lì, campano con quello che la natura offre loro.

IO E IL PAPA - Quando Jorge Mario Bergoglio il 13 marzo 2013 ha varcato il soglio di Pietro per l'Argentina è iniziata una festa interminabile. E' come se si rinnovasse ogni giorno. Tutto parla di Papa Francesco, l'orgoglio di un popolo - sono 40 milioni di abitanti di cui 20 di origine italiana come del resto il Santo Padre - che si identifica in questa guida spirituale: "Ho l'onore di averlo conosciuto quando era vescovo di Buenos Aires - ci dice -: mi consegnò un premio di cui vado molto fiero. Era legato ai valori etici dello sport. Certo - sorride - chi l'avrebbe immaginato che da lì a pochi anni sarebbe diventato Papa Francesco... Un uomo dalla straordinaria carica umana, un'energia formidabile". Ma dal 1 febbraio 2014 Gabriel Batistuta può vantare un altro prezioso ricordo... "I miei amici italiani mi hanno fatto un regalo che porterò con me tutta la vita: la benedizione apostolica di Papa Francesco per il mio 45esimo compleanno". Quando Gabriel ha aperto quella busta si è commosso, il suo volto di carta vetrata si è trasformato in tenera dolcezza. "Spero davvero un giorno di poterlo incontrare di nuovo il Santo Padre, magari a Roma".

IO, LA FAMIGLIA, GLI AMICI - I Batistuta più che una famiglia sono una squadra... I genitori Osmar e Gloria, i figli Gabriel, Alejandra, Gabriela ed Elisa. Bruno, Eddy e Gaston i cognati del Re Leone e una scuderia di nipoti. I figli di Gabriel e Irina sono quattro: Thiago, il primogenito, studia recitazione a Buenos Aires. Dicono sia molto bravo. Il secondo è Lucas, il migliore a giocare a calcio: un'esperienza nelle giovanili del Colon. Poi c'è Ioaquin e infine Shamel, nato in Qatar quando il Re Leone tirava gli ultimi calci per gli sceicchi. Vederli assieme pare uno spot pubblicitario quando la famiglia si riunisce a colazione. Uniti, affiatati, un gruppo coeso. Ognuno con la propria attività, ma pronti a riunirsi quando la festa chiama. E il compleanno numero 45 è stata l'occasione giusta. Anche nei festeggiamenti sono semplici, gli amici di sempre. Come Pablo Tiburzi, giornalista della Tv Publica Gaston, compagno di squadra ai tempi del Newell's Old Boys, Pelusa, muscista bravissimo e Moncho ex pugile: "Sono cresciuto qui e sono sempre tornato a casa - racconta Gabriel -. Qui sono me stesso. A noi basta poco per stare bene: asado, buona musica, amicizia e allegria".

IO E I MIEI INIZI - "Ero potente fisicamente, ma non avevo grande tecnica. A 17 anni però arrivò l'occasione di andare al Newells a Rosario. Avevo dentro di me una motivazione fortissima, volevo diventare il centravanti più forte al mondo. Stavo ore e ore in pullman per andare e tornare, era dura. L'esperienza a Rosario fu in due fasi, quando rientrai definitivamente perché mi avevano convinto, cominciò la mia avventura. Il salto vero fu a Buenos Aires: prima il River e poi il Boca, ma soprattutto la metropoli. Venivo da 1000 chilometri più a nord, dalla campagna...". Quello che emerge parlando con lui era la sua grande voglia di sfondare, dimostrando a se stesso e agli altri il proprio valore. "E nel '91 arrivò la Fiorentina, quella che sarebbe poi diventata la storia più importante della mia carriera, anche se lo scudetto l'ho vinto a Roma".

IO E IL POLO - "Mi sono appassionato quando ho finito di giocare a calcio. Da noi è uno sport molto seguito, a Buenos Aires c'è il Torneo Palermo, il più famoso al mondo. Non mi ritengo un gran giocatore, ma so cavalcare e poi mi diverto tantissimo. Andiamo a giocare per beneficenza e qualche volta mi capita di essere al fianco di qualche fuoriclasse. Nella mia casa fuori Reconquista a "La Gloria", ho due campi di Polo, con le porte rigorosamente viola e pure le maglia della mia squadra hanno quel colore... Di recente ho preso un pullman e l'ho trasformato nel trasporto per cavalli così ci possiamo muovere meglio quando dobbiamo partire per le manifestazioni, qui le distanze non sono come in Italia...". Anche il pullman in testa e sui lati ha lo stemma della Fiorentina con un bel giglio, del resto l'amore è amore... Basta vedere in casa, dove c'è un quadro vista Firenze e i volumi sugli Uffizi e il Vasariano.

IO E IL FUTURO - Il Mondiale in Brasile è vicino: "Dovrei andare a seguirlo come opinionista tv e poi vedremo. Tornerei volentieri nel calcio, ma con un ruolo che mi desse soddisfazione. Altrimenti sto bene anche qui a casa, non mi manca niente. Intanto seguo i campionati europei più importanti, con un occhio di riguardo per l'Italia e Firenze... Il campionato italiano non sarà il più bello, ma resta il più duro, senza discussioni. La tattica è la caratteristica vincente e per un attaccante è sempre difficile, considerando l'attenzione che si riserva alla fase difensiva".

IO E LA QUINTA... E' un campetto alle porte di Reconquista, ma da quanto è verde sembra di essere in Inghilterra. Lì da 30 anno ogni sabato - non è importa se fa caldo o freddo, se piove o tira vento - si gioca. Ognuno con la sua professione, con la sua pancia, con la sua altezza e con un'imprecisata perizia tecnica. Una sorta di "Amici miei" del pallone, perché scherzano e fanno sul serio. "Qualcuno è più avanti con gli anni - sorride Gabriel - ma non rinuncia; si fanno 45 minuti per tempo, certo, è un calcio stile moviola...". E scoppia a ridere. Ma non conta far gol, anche se lui continua a farne, per carità, ma esserci. "Sono contento perché sto meglio alle caviglie. Mi muovo con disinvoltura. Qui c'è un clima unico fra noi e quando posso gonfio ancora la rete...". Per loro, quelli della Quinta è Gabriel. Lo stesso ragazzino che un giorno parti di qui per diventare il centravanti più forte del mondo.

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