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Alla ricerca di facce, teste e cuori nuovi: Zanetti patrimonio da non perdere

di Italo Cucci
Nato a Sassocorvaro il 31 maggio 1939, allievo di Gianni Brera, Severo Boschi, Aldo Bardelli ed Enzo Biagi. Collabora con la Rai come opinionista/editorialista sportivo.
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Non amo il perbenismo, detesto il politicamente corretto, non sopporto ruffiani e sepolcri imbiancati, mi batto da sempre contro i cialtroni: il calcio è un grande contenitore di vicende e personaggi disgustosi ed è per questo che considero un danno l'uscita di scena di Javier Zanetti, non a caso salutato con unanime affetto e rispetto dagli avversari sul campo nella sua ultima partita in nerazzurro a San Siro e da tantissimi altri collezionati su vari fronti in diciannove anni che ne hanno consolidato la fama di calciatore e di uomo. Non è retorica, credete, né ho intenzione di fare di Javier un santino o uno di quei personaggi deamicisiani sempre meno attraenti e simpatici dei "cattivi" che ci offriva "Cuore". Un forte fra tanti deboli dediti a scaramucce e finzioni infantili; un duro autentico, se si tien conto che oggi esibire virtù è meno gratificante che cialtroneggiare; un semplice e spontaneo maestro di vita se è vero che in un ventennio non ha interpretato scandali. Pensavo, mentre la folla nerazzurra gli tributava un trionfo d'affetto, quanto la Milano delle persone perbene gli debba proprio nei giorni dell'ennesima esibizione truffaldina di concittadini illustri o meschini; nè mi colpiva negativamente l'assenza dalla curva di quei tifosi in gran parte fasulli che amano esibirsi in oscenità varie, dal razzismo alla stupidità, dalla volgarità all'intolleranza. Nè mi si dica che sto sconfinando: proprio in queste ore si parla del calcio come ulteriore espressione di un'Italia vittima di una grave depressione sociale e culturale, e mentre impazzano i Nuovi Fusti della violenza e dell'intrallazzo è giusto rammentare quelli che Leo Longanesi chiamava i Vecchi Fusti.

Zanetti - uno di questi, oggi che si ritira - ne ha ricordati tre davanti a San Siro: Peppino Prisco, Giacinto Facchetti e Benito Lorenzi, tre figure dominanti una storia ch'è singolare sentirsi rammentare da un ragazzo argentino che ha saputo pescarli nel secolo dell'Inter fitto di protagonisti eccellenti. Peppino il supertifoso colto e ironico, Giacinto il capitano esemplare della Beneamata, Benito l'espressione più naturale e spontanea della Pazza Inter: avrà provato un'emozione ancor più forte, a sentir salutare "Veleno", Sandrino Mazzola che lo ebbe come un padre quando fu portato per mano, insieme al fratellino Ferruccio, sul campo di San Siro con la maglietta nerazzurra che non avrebbe mai più tradito. Ho ritrovato in Xavier il calcio delle mie antiche stagioni, il calcio delle Bandiere, dei Capitani Coraggiosi, degli Eroi della Domenica che ispiravano adulti e bambini che ne collezionavano le figurine e ne conoscevano i dettagli di carriera mentre oggi accanto al nome di un pedatore figura innanzitutto il prezzo. Se non v'aggrada, prendete questa nota come lo sfogo di un nostalgico rompiballe. Per me, uno come Zanetti non va perso: e non penso soltanto alla dirigenza dell'Inter, che potrebbe non essere una promozione, ma a una figura centrale di un calcio che ha bisogno di facce, teste e cuori nuovi.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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