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Milan, Serafini: "Il progetto in frigorifero"

di Redazione TMW.
Fonte: Luca Serafini
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Qualcuno si è fatto male, qualcuno sta meglio, qualcun altro non si è mai fatto niente, altri se ne sono andati via come fantasmi in una notte di vento. La linea verde del Milan è una linea oscurata, criptata, assenza di segnale. Gabriel rossonero da un anno, Salamon per 6 mesi poi a Genova, di Vergara non si sa nulla se non che il suo manager lo ha presentato dicendo: "Non è ancora da Milan", De Sciglio de profundis, Cristante era l'uomo per il quale si poteva serenamente rinunciare ai vecchi Ambrosini e Flamini, Niang (dice Abatantuono) "nianghe in Coppa Italia" dove pure ha segnato il suo unico gol con questa Italia (dopo lo sbarco tra telecamere e flash da "Giannino" nell'estate 2012), Saponara è desaparecido e qualcuno comincia a temere che sia rimasto a Empoli sotto altre generalità, Petagna cotto e spedito alla Samp, El Shaarawy se sta bene può anche essere venduto e quindi è meglio se sta male, ma così purtroppo non gioca. Il progetto è congelato, impalpabile, distante anni luce da una squadra senza gioco e senza anima.

Proviamo in ogni modo a trovare qualcosa cui aggrapparci per condividere gli ottimisti come Mario Sconcerti o per dare linfa a una tifoserie più scoglionata che arrabbiata. Basterebbe che il Milan avesse un'anima, carattere, un'idea credibile di organizzazione, ma quando si vede la luce nel rendimento di Balotelli e Mexes che crescono, ecco che si escludono da soli. Quando si vede la luce dei rientri di Kakà e Pazzini, slittano scivolando sui bollettini medici. Quando si spera che Matri monetizzi la sua fede milanista, da centravanti puro riceve quattro palloni a partita e li perde come per una specie di sortilegio. Allora non resta che aspettare, e sperare, in un'(H)onda anomala a gennaio dopo che a Natale - hanno promesso - questo Milan così piccolo sarà di nuovo tra le prime. Mi viene in mente un amico che confidò anni fa: "Non uso contraccettivi, mi bastano le preghiere".

C'è da avere ancora paura ad andare allo stadio, in Italia. Paura di non farcela con lo stipendio perché tra biglietto, benzina, parcheggio, panino e bibita, raddoppiati se si hanno un bambino o una fidanzata, se ne vanno più di 100 euro a botta. Paura di non entrare perché ci sono i tornelli, le tessere del tifoso (ci sono ancora?), le perquisizioni accurate, ma poi si possono comunque perdere 3 dita per lo scoppio di un petardo e si può comunque non vedere la partita per i fumogeni e si possono comunque leggere striscioni deliranti entrati chissà come. Paura perché lo stadio è mezzo vuoto e lo spettacolo un disastro, fatte salve 2 o 3 squadre a dirne tante. Paura perché ti possono strozzare o accoltellare se hai la sciarpa sbagliata. Paura perché se mandi affanculo un avversario in quanto tale e non perché sia negro o terrone (che è tutta un'altra storia), ti possono chiudere in faccia quello stadio stesso. Paura perché quando torni a casa la sera pensi di vivere in un Paese sottosviluppato con dei dirigenti politici e sportivi miopi, arraffoni ed egoisti che di te e della tua passione se ne fregano, pensando soltanto a spremerti. Paura perché le Curve stavolta proprio c'entrano poco e se si organizzano per vendicarsi, è finita. Paura perché se chiudono San Siro per un coro significa che la pagliuzza è drammaticamente più grande della trave e invece di accorgersi di averla nell'occhio, non si accorgono di averla da un'altra parte...

Ecco perché andiamo con gioia, domenica 13 alle 15, allo stadio comunale di Segrate (Milano) per il derby storico Milan-Inter intitolato a "Claudio Lippi", un collega, un amico, un fratello minore, un padre di famiglia, che ha vissuto la sua breve vita e le sue molte inquietudini sempre e solo con il sorriso sulle labbra.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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