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Merlo: "L'Inter a 30 anni mi pagò 760 milioni ma che errore lasciare Firenze"

di Chiara Biondini
Fonte: di Stefano Borgi per FV Magazine
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© foto di Federico De Luca 2013

Per entrare nel personaggio Claudio Merlo, partiamo dalla fine. E' il momento dei consuntivi e la domanda è quasi scontata. "Se sono soddisfatto della mia carriera? esordisce Claudio - Beh si. Anche se per le qualità che avevo potevo fare certamente di più. Andar via dalla Fiorentina e provare a vincere altrove per esempio. Ma io a Firenze stavo bene, ho pensato alla famiglia, alla mia serenità". Poi aggiunge..."E' come quando mi dicono che ho fatto pochi gol. Forse è vero, ma ho fatto tanti assist. Lei non ci crederà, ma per me mandare in gol un compagno era una soddisfazione immensa. Più che fare un gol personale. Nell'assist c'è tecnica, inventiva, fantasia... C'è tutto, insomma".

E Claudio Merlo di tecnica e fantasia ne aveva da vendere, nonostante un soprannome che toglieva qualcosa. "Mi chiamavano il 'secco' - confessa con espressione divertita. Credo per il mio fisico asciutto, per le gambe esili. Infatti avevo spesso piccoli infortuni, piccoli stiramenti. Però questa è stata anche la mia forza: sul breve, sulla rapidità di esecuzione ero imbattibile".

Cominciamo dall'inizio. Come nasce il Merlo calciatore? "Da una famiglia normalissima, mio padre faceva il muratore. Da un quartiere di Roma tra i più malfamati, Torpignattara. Poi l'oratorio Il Mandrione, un osservatore che mi porta al Tevere Roma, Pandolfini e Biagiotti che mi notano e mi portano alla Fiorentina. Era il '63, o forse il '64... Comunque nel '66 con la "primavera" viola vinsi il torneo di Viareggio. Con me c'erano Esposito, Ferrante, Chiarugi, Brugnera, una bella fetta della Fiorentina ye-ye".

Quell'anno esordisce anche in serie A "A Milano contro l'Inter. Facemmo 0-0, Chiappella mi chiese... Te la senti? Figurarsi, esordire contro la grande Inter di Herrera. Chiappella era una persona eccezionale, per noi giovani era come un padre. Nessun dubbio, Beppe è stata la figura più importante della mia carriera". Poi però lo scudetto lo vinse Pesaola "Perchè Chiappella era un buono, a differenza di quando giocava. Non ci motivava abbastanza e nel '68, l'anno precedente lo scudetto, fu sostituito da Pesaola. Col "petisso" rigavamo più dritto, ed i risultati si sono visti".

Ci racconti quell'impresa..."Ha usato la parola giusta, impresa. Eravamo una buona squadra ma non eravamo partiti per vincere lo scudetto. Poi, dopo la sconfitta in casa col Bologna (alla 5° giornata, finì 3-1 per i felsinei ndr.) scattò qualcosa dentro di noi, e non perdemmo più. Ricordo la vittoria decisiva di Torino contro la Juve, il giorno prima quando per distrarci Pesaola ci portò all'ippodromo, i 20.000 che vennero da Firenze a festeggiare con noi. E poi l'ultima in casa contro il Varese. Al "Comunale" ci saranno stati 70.000 spettatori, noi che entriamo con i fiori in mano ed il cuore che va a mille. Quel giorno segnai l'unico gol del mio campionato, un tiro da fuori area".

Nel mezzo ci sono state altre vittorie "Due coppe Italia, una Mitropa, una coppa di Lega italo-inglese... Devo dire che con la Fiorentina ho vinto parecchio. Ricordo la semifinale con l'Inter quando poi vincemmo la coppa Italia del '66. 2-1 per noi con i gol di Brugnera e Hamrin, giocai forse la più bella partita in maglia viola. Addirittura feci un tunnel a Suarez che, per la frustrazione, mi prese per la maglia e fu ammonito".

Il gol più bello invece? "Quello lo feci nell'anno dell'esordio in serie A, a Milano contro il Milan. Segnai una doppietta (6 marzo 1966, 2-1 per i viola ndr.) il gol decisivo lo realizzai scartando tre difensori e battendo il portiere in uscita. Certe cose non si dimenticano". Si ricorda anche perchè fu venduto? "Per i soldi. Allora non ci si poteva rifiutare, non c'era la legge Bosman. L'Inter mi pagò 760 milioni a 30 anni. A quei tempi erano tantissimi soldi. Io non ci volevo andare, e infatti fu un errore. A Milano non mi ambientai, e poi avevo contro Mazzola al quale facevo concorrenza. Furono due anni bruttissimi, anche se feci in tempo a salvare la Fiorentina..."

Si spieghi meglio... "Ultima giornata del campionato '77-'78, la Fiorentina è in lotta per non retrocedere e serve a tutti i costi una vittoria dell'Inter contro il Foggia. Io nell'intervallo scendo negli spogliatoi e carico i miei compagni per fare un favore ai viola. Detto fatto! Nel secondo tempo vinciamo 2-1 e la Fiorentina si salva per differenza reti. Insomma, credo di aver contribuito anch'io..."

E' vero che la voleva Radice al Torino? "Sì, prima di andare all'Inter... e fu un peccato. Forse al Toro avrei vinto un altro scudetto. Tra l'altro con Radice alla Fiorentina giocai il miglior campionato della mia carriera: era la stagione '73-'74, feci un girone d'andata spettacolare, fui premiato come il miglior giocatore del campionato. Radice mi lasciava libero di fare quello che volevo, mi coccolava, mi dava fiducia. E questo per me era importante. Quell'anno meritavo anche la nazionale, e invece in maglia azzurra ho giocato una sola partita, col Messico nel 1969. Un piccolo rimpianto. E peccato che quella Fiorentina non fu portata avanti. C'erano giovani fortissimi come Antognoni, Guerini, Roggi, Caso... Un po' gli infortuni, un po' la mancanza di soldi, e poi non so perchè ma Radice fu mandato via. Venne Rocco, ma ormai il 'Paron' era a fine carriera".

Quindi la chiusura a Lecce e la carriera di allenatore... sempre con i giovani. "In Puglia ho trascorso tre anni fantastici, seppur in serie B. Poi le esperienze con la Rondinella, con i bambini della Fiorentina, con la Floria Gafir 2000. Ed ora il mio Campus a Fiumalbo, rigorosamente con i ragazzi. A me piace insegnare calcio, tecnica e divertimento. Alla base ci deve essere sopratutto questo".

Pillole finali sul Merlo extra-campo. Il giocatore col quale è stato più amico? "Ugo Ferrante, un 'allegrone' scanzonato come me. E poi Giancarlo De Sisti, praticamente un fratello. Romano pure lui, persona di grande intelligenza, dentro e fuori dal campo". Chiudiamo con una piccola provocazione: si diceva che lei fosse un po' svogliato, un po' indolente... "Ma non è vero! Questa storia l'ho sentita un sacco di volte, ma non è vera per niente. Avevo delle pause in campo, lo ammetto, ma chi non ce l'ha... E poi io correvo in verticale, coprivo tutto il campo, avevo un raggio d'azione amplissimo. No, se c'è una cosa della quale non posso esser rimproverato è proprio l'impegno". Quindi Claudio Merlo si promuove a pieni voti? "Non lo so, io sono soddisfatto anche se, come le dicevo prima, si può sempre fare di più. Se poi ci mette una bellissima famiglia (la moglie Marta, i due figli Marco e Claudia ndr.) i tifosi che mi ricordano e mi vogliono ancora bene... Vuol dire che qualcosa di buono ho fatto".

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