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de la Peña, il veloce declino del piccolo Buddha

di Gaetano Mocciaro
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Il Barcellona di metà anni '90 era lontanissimo dallo squadrone di marziani di oggi. Nonostante il grande appeal che anche allora la squadra esercitava, dopo l'umiliante 0-4 di Atene, nella finale di Champions del 1994 contro il Milan si chiuse il ciclo del grande Barça di Cruyff. L'olandese in verità restò in panchina ancora fino al 1996 ma la squadra era oramai spremuta e campioni come Stoichkov e Romario sarebbero poi andati via, altri come Koeman, Bakero e Zubizarreta iniziavano ad essere in là con gli anni. Si iniziava pian piano a ricostruire, pescando in giro come il portoghese Luis Figo dallo Sporting Lisbona, o attingendo al settore giovanile. Dalla famigerata cantera nel 1995 viene promosso Iván de la Peña e all'anno d'esordio in Liga stupisce tutti: conquista il posto da titolare e segna persino sette reti. Non male per un centrocampista, esordiente, il cui compito è quello di distribuire il gioco. Le caratteristiche migliori del ragazzo sono quelle da regista, anche se, essendoci già Pep Guardiola, de la Peña fa più l'incursore. La squadra non vince nulla, ma si consola con l'esplosione del giovanotto nativo di Santander. I media catalani sono convinti di aver trovato la risposta alla famosa quinta del Buitre del Real Madrid anni '80, che comprendeva i cinque talenti della cantera capitanati da Emilio Butragueno, per l'appunto El Buitre (l'avvoltotio). de la Peña fu così eletto a capostipite della quinta del calvo alludendo al look del giocatore (per la cronaca gli altri membri erano Celades, Roger Garcia, Quique Alvarez, Toni Velamazan e Juan Carlos Moreno) de la Peña fa altri due anni da titolare al Barcellona, anche se nel 1997-98 è spesso condizionato da infortuni.

L'ambiziosa Lazio di Sergio Cragnotti degli anni '90 non bada a spese per vincere in Italia e in Europa e dopo aver preso il giovane Dejan Stankovic il presidente biancoceleste non si accontenta e punta al nome di grido: e de la Peña è quello giusto. D'altronde con l'arrivo di Louis van Gaal a Barcellona e la concezione di gioco dell'olandese che non contempla "il piccolo Buddha", la trattativa si può fare e si chiude sulla base di 30 miliardi di lire. In Catalogna giurano sulla bontà del giocatore, con un "ma". Il giocatore sembra aver problemi a offrire alta intensità per 90'. E così alla Lazio è: il giocatore a livello tecnico conferma le sue qualità di abile regista, con piede dolce e cervello fine. Ma il suo gioco si mostra dal ritmo fin troppo compassato per la frenesia della Serie A, e anche la struttura fisica non sembra delle migliori. L'autonomia è da partite da 45' e anche l'allenatore Eriksson se ne accorge. Il tecnico svedese, poi, si ritrovò il giocatore senza averlo chiesto. Quella Lazio si poteva permettere d'altronde un centrocampo con Sergio Conçeiçao, Stankovic, Almeyda e Nedved. In ogni caso la chance a de la Peña viene data, lo spagnolo parte titolare per poi venire lentamente scavalcato nelle gerarchie, anche per colpa di una fragilità muscolare notevole. Così diventa via via comparsa di uno squadrone che nel frattempo è in piena lotta per vincere lo scudetto. Alla fine del primo anno le presenze saranno appena 14 e il contributo al secondo posto ridotto ai minimi termini. È chiaro a fine stagione che di lui non c'è bisogno, ma dove si trova un acquirente che possa almeno avvicinarsi ai 30 miliardi spesi solo 12 mesi prima? Nessuno. Infatti la Lazio è costretta a limitarsi semplicemente a prestare il giocatore al Marsiglia, sperando che in Francia si riabiliti e, chissà, facendo bene anche in Champions League qualcuno non si accorga di lui. Come non detto, de la Peña trapana acqua anche in Francia e ritorna mestamente a Roma per essere immediatamente prestato al suo Barcellona. Ma nemmeno l'aria della Catalogna lo restituisce come agli esordi. In blaugrana non gioca quasi mai e di nuovo fa ritorno alla Lazio, dove vive una stagione quasi da inattivo: appena una presenza nel 2001/02.

Nel 2002 il trasferimento all'Espanyol, dove de la Peña trova una sua dimensione, ritorna protagonista, anche se in scala ridotta. Saranno nove le stagioni con la maglia biancoblù raggiungendo anche una finale di Coppa Uefa. Per la Lazio nessun rimpianto. I biancocelesti nel frattempo riprovano il colpo spagnolo nel 2001, prendendo uno dei migliori talenti iberici dell'epoca. Il suo nome era quello di Gaizka Mendieta. Una storia dallo stesso epilogo, che racconteremo più avanti...

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