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Dahlin, lo svedese in-colored di Roma

di Gaetano Mocciaro
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Nella società odierna è sempre più frequente trovare mix di razze all'interno di un paese e non stupirebbe di certo trovare scandinavi di colore. Diverso il discorso vent'anni fa, non a caso Martin Dahlin non poteva certo passare inosservato per il colore della pelle. Nato in Svezia da padre afro-venezuelano, un musicista che decise di dargli il nome di Martin Luther King, Dahlin prende il cognome della mere poiché mai riconosciuto e in Svezia è considerato come uno dei migliori attaccanti degli anni '90. Peccato per la sua parentesi in Italia.

Cresciuto nel Malmö, si fa notare anche fuori dalla Svezia quando allorché ventenne vince il campionato e si laurea capocannoniere del torneo. Viene convocato in Nazionale e diventa il secondo "colored" della storia della Svezia. Nel 1991, a 23 anni, il primo grande passo: Dahlin si accorda col Borussia Mönchengladbach e ci resta 5 stagioni. La prima è un fiasco, poi si assesta a media più che accettabili, per un totale di 60 reti in 133 partite. Ma l'esplosione definitiva arriva ai mondiali del 1994. Dahlin guida l'attacco della Svezia e forma un tandem offensivo perfetto con Kenneth Andersson. Negli States ci arriva trascinando la Svezia alle qualificazioni con 7 reti, poi ne fa 4 nella rassegna iridata e gli scandinavi raggiungono un insperato terzo posto, miglior risultato dai mondiali del 1958 giocati in casa.

La Bundesliga comincia a star stretta, ma il Borussia riesce a tenerlo almeno fino al 1996, quando a 28 anni, nel pieno della maturità, accetta l'avventura italiana. Su di lui punta la Juventus, che prima si accorda col giocatore, ma quando i tedeschi "sparano" 5 miliardi di lire l'allora dg Luciano Moggi fa dietrofront. Si inserisce la Roma, che supera la concorrenza della Fiorentina e si porta a casa il giocatore. I giallorossi sognano in grande in quell'estate, chiamano a guidare la squadra il tecnico campione del mondo per club Carlos Bianchi e gli danno un attacco formidabile con Balbo, Fonseca, Delvecchio e un giovanissimo Francesco Totti. Più Dahlin.

I problemi con lo svedese iniziano subito, il giocatore si fa male al ginocchio e la cosa complica di molto il suo adattamento al calcio italiano. Vista anche la concorrenza il posto è praticamente una chimera, Bianchi gli concede tre partite, giocate una peggio dell'altra. Non si adatta al nostro torneo, né con lo spogliatoio. L'autunno fa capire a tutti che il matrimonio ha da finire. Dahlin preme per andare via immediatamente e viene accontentato: a gennaio Dahlin torna al Borussia Mönchengladbach in prestito. Nel suo vecchio club si rigenera, torna a sorridere e soprattutto a segnare. Non avviene però il riscatto e nell'estate del 1997 Dahlin sarebbe a disposizione della Roma. Peccato che nella capitale abbiano ben altri progetti: arriva Zeman in panchina e Paulo Sergio in attacco. Di Dahlin quelle tre presenze dell'anno prima sono più che sufficienti per dagli il benservito. Così il giocatore emigra in Inghilterra, dove rimedia un fiasco anche al Blackburn, complice anche l'eredità di un certo Alan Sharer, uno che con i suoi gol ha fatto vincere alla squadra il campionato dopo 81 anni. Un anno di permanenza in terra d'Albione per il terzo passaggio in Germania, dove stavolta però va male: si accasa all'Amburgo e gioca pochissimo, non segnando neanche un gol. A 30 anni, quindi, la scelta a sorpresa: Martin Dahlin appende le scarpe al chiodo, ma resta nel mondo del calcio. Prima lavora come procuratore al fianco dell'ex compagno di nazionale Roger Ljung, poi fonda la sua compagnia, la Martin Dahlin Management rappresentando soprattutto giocatori svedesi, fra cui Granqvist, Toivonen, Antonsson, Rosenberg, Jonas e Martin Ollson. E tanti altri.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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