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Carnasciali racconta la sua carriera: "Batistuta un campione. Baggio? Il più grande"

di Chiara Biondini
Fonte: Di Luca Bargellini per TMWmagazine
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© foto di Federico De Luca

Quando in carriera un calciatore professionista riesce a conquistare una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e ad entrare nella storia di un club blasonato del livello della Fiorentina come elemento di una delle formazioni più forti della storia della società gigliata spesso l'appagamento è il sentimento che identifica meglio il percorso di questo giocatore. Tale descrizione non sembra però ricalcare per niente il ritratto di Daniele Carnasciali.

Toscano, cresciuto nel vivaio dell'Atalanta e consacrato con la Fiorentina targata Cecchi Gori dove i leader erano campioni del calibro di Gabriel Omar Batistuta, Manuel Rui Costa e Francesco Toldo. Carnasciali, iniziamo dalla fine. Come definirebbe la sua carriera? "Dico che, ad alti livelli, poteva iniziare prima. Non penso che i cinque anni trascorsi in Serie C siano stati buttati via, ma quella poteva sicuramente essere una parentesi più breve. Almeno mi sono serviti per fare esperienza".

Cosa non è andato agli inizi? "A 17 anni giocavo con la Primavera dell'Atalanta e forse in quell'annata ho reso meno rispetto a quanto potevo. Per questo motivo nelle due stagioni successive sono approdato prima al Mantova, dove ho vinto il campionato di C2, e poi allo Spezia in C1. Sono stati questi gli anni in cui avrei dovuto fare il salto di qualità. Detto questo, nella mia avventura con l'Ospitaletto ho avuto la fortuna d'incontrare una grande persona come Gino Corioni. A quei tempi era il presidente della squadra e devo a lui il prosieguo della mia carriera". Si spieghi meglio. "Dopo la seconda stagione ad Ospitaletto la squadra retrocedette dalla C2 e io non avevo voglia di tornare a giocare per una squadra che giocava in Interregionale a quasi 400 chilometri da casa mia. Per questo motivo, quando l'allora ds del club, Tiberio Cavalleri, mi contattò ero titubante nell'accettare la nuova offerta della squadra seppur tutti si dicevano convinti del ripescaggio in C2. Era troppo forte la tentazione di cercarmi una squadra vicino casa mia, in Toscana, oppure di smettere. A quel punto si fece vivo il presidente Corioni che disse di volermi a tutti i costi in squadra. Così, alla fine, accettai e tornare a giocare ad Ospitaletto. Tutto grazie a lui".

Un binomio, quello fra lei e il presidente Corioni, che da quel momento non le portò altro che bene. "Esatto. La stagione successiva agli ordini di Claudio Onofri facemmo una buona stagione tanto che verso aprile il presidente mi chiamò per dirmi che nel campionato 1990/1991 mi avrebbe portato al Bologna, l'altra squadra di cui era presidente. Così io me ne andai al mare convinto che avrei vestito la maglia rossoblù e invece..." E invece...? "Passai al Brescia perché nel frattempo Corioni aveva comprato le Rondinelle. Fu Cavalleri, che nel frattempo era passato dal ruolo di direttore sportivo a quello di procuratore, ad avvisarmi. E' stata una sorpresa".

Come ricorda le due stagioni a Brescia?"Il primo campionato ci salvammo all'ultima giornata, mentre nel secondo arrivò alla guida della squadra Mircea Lucescu. Un grande allenatore. Uno di quelli che in Italia abbiamo capito poco. Era un vero innovatore: che io sappia ad inizio anni '90 nessuno tranne lui faceva rivedere le partite per analizzare gli errori commessi. Sul piano tattico, poi, ha sempre amato il calcio spettacolare. Il suo più che un 4-4-2 era un 4-2-4 dove anche i terzini erano chiamati a partecipare all'azione offensiva. Grazie a Lucescu credo di aver fatto la mia miglior stagione a livello personale".

Un rendimento che le è valso la chiamata della Fiorentina. "Anche in questo caso sono stato avvisato dal mio procuratore che la società viola era interessata ad acquistarmi e a chiudere in tempi brevi l'operazione. Così, infatti, è stato con la mia firma che arrivò senza intoppi su un contratto quadriennale. Il giorno dopo, però, mi arrivò una chiamata che non mi sarei mai aspettato". Da parte di chi? "Di Ernesto Pellegrini, presidente dell'Inter. Voleva sapere quando sarei potuto andare a Milano per firmare il mio nuovo contratto". Una bella sorpresa. "Capisco subito che il presidente Corioni aveva portato avanti due trattative parallele per poi chiudere quella più vantaggiosa a livello economico". Il più classico dei retroscena di mercato. Mai avuto rimpianti? "Sinceramente no. Anche perché la Fiorentina di cui stiamo parlando era quella di Mario Cecchi Gori e probabilmente era una realtà più solida di quella nerazurra. E dico questo da simpatizzante dell'Inter fin da bambino".

Una scelta, dunque, positiva, anche se la prima stagione in viola terminò con una clamorosa retrocessione dopo che la squadra allenata da Luigi Radice aveva toccato anche il terzo posto in classifica. "La fine ebbe inizio con l'esonero di Radice. Al suo posto venne chiamato Agroppi e con lui alcuni giocatori non resero più come prima; mi riferisco ad elementi del calibro di Stefan Effenberg e Brian Laudrup, coloro che tiravano il gruppo. Persi loro, il resto della squadra non seppe più reagire".

Sull'esonero di Radice da parte di Vittorio Cecchi Gori se ne sono dette e lette moltissime. Qual è la sua versione? "Io so quello che ho visto. Era la prima partita del 1993 e giocavamo contro l'Atalanta al Franchi. Per tutta la partita dominammo il campo creando una miriade di occasioni. Loro vennero su una volta sola con Perrone e andarono in gol portandosi a casa l'intera posta. Rientrati negli spogliatoi entro Cecchi Gori che si rivolse verso Radice dicendogli: "Ti mando via". Questo è quello che è successo nello spogliatoio. In questi anni ho letto di schiaffi e tanto altro, ma su questo non voglio dire niente perché non ero presente".

Il nuovo corso parte all'insegna di un altro tecnico importante nella sua carriera. Ovvero Claudio Ranieri. "Stiamo parlando di un grande allenatore e la sua carriera ne è la riprova. Con Ranieri in panchina mi sono tolto, assieme a tutta Firenze e a tutta la Fiorentina, delle grandi soddisfazioni. La Coppa Italia vinta in finale sull'Atalanta e la Supercoppa conquistata sul prato di San Siro contro il Milan, come prima vincente della coppa nazionale ad assicurarsele, sono traguardi importantissimi. C'è però una cosa che non perdonerò mai a Ranieri..." Cosa? "Di avermi tenuto in panchina nel match di Barcellona in Coppa delle Coppe. In quella stagione giocai praticamente sempre tranne quella partita, contro una delle formazioni più forti della storia. Giocai anche il ritorno quando perdemmo per 2-0, ma al Camp Nou no. In quell'occasione l'avrei veramente 'ammazzato' (ride, ndr)".

27 Facile ricollegare quella notte magica al nome di Gabriel Omar Batistuta. "La prima volta che lo vidi allenarsi francamente non mi fece un grande effetto. E' stata la sua forza di volontà che lo ha reso il campione che tutti abbiamo imparato ad apprezzare e uno dei centravanti più forti della storia. Dopo ogni allenamento si fermava a calciare in porta per continuare a migliorarsi, sempre. Batistuta è un giocatore che si è costruito con il tempo grazie alla voglia di diventare il numero uno".

Lasciata Firenze lei ha incontrato un altro numero uno: Roberto Baggio. "Ecco, come lui non diventi neanche se ti allenti tre ore al giorno per tutta la vita... (ride, ndr). A parte le battute, Roberto Baggio era un vero fuoriclasse. Oltre ad essere un bravissimo ragazzo, poi, era anche un vero professionista. Spesso ho sentito dire che era un giocatore che non aveva voglia di allenarsi e invece posso dire che aveva un preparatore personale che lo seguiva per i suoi problemi alle ginocchia e per tre volte la settimana faceva tutta una serie di esercizi, prima e dopo il normale allenamento, per rendere al meglio. Se non fosse stato un professionista avrebbe potuto tranquillamente evitare certe accortezze che, invece, lo hanno reso il campione che tutti conosciamo".

Dai campioni ai presidenti. Lei in carriera ha avuto a che fare prima con Gino Corioni, poi con Vittorio Cecchi Gori e a Venezia anche con Maurizio Zamparini. Tre caratteri forti. "Con ognuno di loro ho avuto splendidi rapporti. Che debbo a Corioni la mia carriera da professionista l'ho già ricordato, mentre su Vittorio Cecchi Gori dico che la sua sfortuna è stata quella di essere una persona troppo buona attorniata da elementi non all'altezza. Zamparini? Nel primo anno a Venezia io, assieme ad altri compagni, riuscimmo a convincerlo a non esonerare Novellino nonostante un girone d'andata non positivo. Alla fine avemmo ragione noi e la squadra si salvò". Non male anche solo averci provato.

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