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Caio, il veloce declino del pallone d'oro Under 20

di Gaetano Mocciaro
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

A posteriori sembra facile ma era onestamente difficile non immaginare una permanenza anonima se ti chiami Caio. E così è stato, anche se le premesse iniziali facevano presagire tutt'altro.

Nell'aprile del 1995 va in scena in Qatar il mondiale Under 20. Fra i favoriti della manifestazione non poteva mancare il Brasile, che poteva schierare in quell'occasione un diciottenne Denilson, da lì a poco stella della Seleçao nel torneo di Francia e acquistato per una cifra record dal Betis. Ma in quella rassegna iridata fu un altro giocatore che saltò all'occhio di tifosi, stampa e osservatori, il suo nome è Caio Ribeiro Decoussau. Faccia pulita, da bravo ragazzo, letale sotto porta. Nel torneo segna in tutti i modi e trascina in finale la Nazionale: due reti nel girone contro Siria e Qatar, poi prende per mano la squadra nell'eliminazione diretta. Contro il Giappone è sotto di un gol e Caio in un quarto d'ora con una doppietta ribalta le sorti della qualificazione. In semifinale c'è il Portogallo, la partita non si sblocca fino alla zampata dell'attaccante proprio al 90°. In finale la Seleçao cederà contro l'Argentina, Caio si consolerà vincendo il "pallone d'oro" della manifestazione, dedicato al miglior giocatore del torneo.

L'attaccante in patria milita nel Sao Paulo e nonostante sia giovanissimo nel suo palmare può già sfoggiare Copa Libertadores, Recopa Sudamericana e Copa Conmebol. Nel campionato brasiliano già gioca e segna ma è il mondiale under 20 a consacrarlo e a far capire che il suo futuro da lì a poco sarebbe stato in Europa. La spunta l'Inter di Massimo Moratti, nuovo presidente che ha acquistato il club da qualche mese. I nerazzurri per la stagione 1995-96 hanno già da rimpiazzare il deludente Sebastian Rambert, che non gioca mai e lascia a campionato in corso. Si punta quindi sul brasiliano, il costo è di 7 miliardi di lire, che potrebbero sembrare un buon investimento viste le credenziali e la prospettiva del ragazzo, appena ventenne. Se però Rambert non gioca mai, se non in una partita di Coppa Uefa e di Coppa Italia, le cose per Caio non cambiano molto. Arriva nel mercato di novembre e gioca subito in Coppa Italia, poi il tecnico Roy Hodgson lo schiera in campionato 6 volte, sempre in spezzoni di gara. Il brillante attaccante del mondiale in Brasile sembra un timido studente smarritosi nel campo di San Siro. Resterà nell'ombra di Ganz e Branca per tutta la stagione. Hodgson lo boccia e per la stagione seguente l'Inter fa arrivare Ivan Zamorano e Yuri Djorkaeff. Insomma, non c'è praticamente spazio per Caio che però essendo stato un investimento in prospettiva non può essere bruciato così in fretta. Si decide così di prestarlo al Napoli, nella speranza che in maglia azzurra faccia vedere il suo potenziale. Il giocatore si gioca il posto con Nicola Caccia, Arturo Di Napoli e Alfredo Aglietti. Sembrano ci siano buone possibilità di vederlo titolare e invece anche stavolta è costretto a fare la comparsa. Gigi Simoni gli concede 20 presenze, anche qui quasi sempre a partita in corso. Riesce nell'impresa di non segnare nemmeno una rete, tanto basta per sancire la bocciatura definitiva anche da parte dell'Inter, che lo rispedisce in Brasile. Tornato in patria a 22 anni Caio avrebbe tutto il tempo di ricostruirsi una credibilità, veste anche maglie prestigiose come quelle di Santos, Flamengo, Fluminense e Gremio, ma il suo contributo sottoposta è sempre deludente. Fa notizia il suo ritorno in Europa in una squadra minore, l'Oberhausen, Serie B tedesca. Un fiasco raccontato dai numeri: 15 presenze, 1 gol. Il secondo mesto ritorno in Brasile e una carriera chiusa a 31 anni.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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