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ESCLUSIVA TMW - Bigica: "Che sogno la panchina del Bari..."

di Claudio Sottile
Emiliano Bigica, allenatore classe '73, è stato sulla panchina di Novara (Allievi) e Vigevano. Dal 2011/12 è tecnico del Verbania. Da calciatore ha giocato con Empoli, Potenza, Bari, Fiorentina, Napoli, Salernitana, Nocerina, Mantova e Novara.
Bigica 1999 - foto TMW
Bigica 1999 - foto TMW
© foto di Andrea Pasquinucci

Ha voglia di grande calcio Emiliano Bigica. Da raggiungere con lavoro e sacrificio. L'attuale allenatore del Verbania, società di Eccellenza ad un passo dalla Serie D, recentemente è stato accostato alla panchina del Monza, anche se il diretto interessato nega prontamente in ESCLUSIVA ai microfoni di TMW.
"Nell'ultima settimana diverse persone mi hanno parlato del Monza. Ma io non ho avuto contatti con loro. Mi fa piacere che circoli il mio nome, vuol dire sto facendo qualcosa di buono. Mi piacerebbe fare un'esperienza tra i professionisti dopo cinque anni di gavetta, ne ho parlato con la società. A fine stagione valuteremo, se ci sarà una programmazione che possa portare alla scalata verso i professionisti... Però tra i dilettanti la mia priorità resta Verbania. Il Monza poi è ancora impegnato con la corsa per i play out, è giusto non destabilizzarli".

Sarebbe quantomeno suggestivo avere Clarence Seedorf (36) come patron.
"Sicuramente, dopo esserci incontrati e sfidati nel rettangolo verde, quando io ero a Firenze e lui alla Sampdoria".

Da ex giocatore viola e da allenatore come giudichi il fattaccio Delio Rossi - Ljajić (20)?
"Delio Rossi stava vivendo un momento di grande pressione, lo so conoscendo direttamente la piazza, in quanto sicuramente non erano partiti per salvarsi. Non esiste quindi che un giocatore, una volta che un allenatore fa una scelta per cercare di raddrizzare una situazione pesante come quello 0-2, per il bene della squadra e dello stesso calciatore, reagisca così. Ljajić ha avuto quel comportamento e quell'atteggiamento nei confronti di una persona che magari, dietro le quinte, l'ha sostenuto e supportato nei momenti più bui, tipo dopo il rigore sbagliato contro l'Inter. Delio Rossi si è sentito come un padre tradito, però non condivido che la baraonda sia stata fatta sotto gli occhi di tutti, i panni sporchi si lavano nello spogliatoio".

Meglio dirigere o giocare?
"Non ho dubbi: giocare. Il tecnico è sempre il colpevole di tutto, deve pensare a 360°. Il giocatore si dedica all'allenamento, prepara la gara, e ha la possibilità di scaricarsi in partita. Un allenatore, soprattutto all'inizio come me che deve cercare di controllare le proprie emozioni, non riesce a mandar via l'adrenalina che accumula pre e durante i novanta minuti. Più l'area tecnica è grande meglio è, è il mio campo da calcio, faccio una fatica incredibile con le aree piccole (ride, N.d.R.) . Se mettessero il contachilometri emergerebbe che faccio più km io di un difensore centrale (ride, N.d.R.) ".

Ti sentivi già un po' allenatore in campo?
"Ho sempre cercato di immedesimarmi in quello che pensava il mister. Con la mia posizione in campo dovevo pensare molto alla tattica, coprendo i buchi aperti dai miei compagni. Beppe Materazzi, nel post Bari - Torino 3-1 del maggio 1995, partita nella quale segnai il mio unico gol in A, disse che avrebbe potuto anche non stare in panchina, tanto aveva già me che ero un allenatore in campo. Mi colpì molto, mi fece piacere e mi responsabilizzò ancora di più. Materazzi è l'allenatore al quale sono più legato. Ha creduto in me prendendomi dalla Serie C, dandomi la fascia di capitano a 20 anni".

Da quale mister hai rubato qualche trucco del mestiere?
"Da tutti ho cercato di carpirne i segreti e il meglio".

Ci sono degli atteggiamenti che assumevi tu da calciatore e che ora dall'altro lato della barricata proprio non tolleri?
"Quando passi dall'altra parte vedi e valuti le realtà in un modo diverso. Per forza. Sei l'unico responsabile. Anche da giocatore, tuttavia, non sono mai stato abituato a incolpare agli altri, nonostante diventasse un carico maggiore che mi mettevo sulle spalle soprattutto nei momenti di difficoltà. Io preferisco, e questo me l'ha insegnato Malesani, svolgere un allenamento dove non si scherza e non si ride ma si è concentrati su quello che c'è da fare, applicandosi correttamente, diminuendone quindi la durata senza perdere tempo in altri atteggiamenti. Certo ci sono dei momenti di pausa in un allenamento, nei quali uno scherza col compagno, ero io il primo a tenere alto il morale del gruppo anche se non giocavo, il giusto mix sarebbe perfetto. C'è da dire che i giovani ora spesso esagerano, ma proprio perché sono cambiate le generazioni, il caso Ljajić di cui sopra lo testimonia. Prima un giovane non si sarebbe mai sognato di sbeffeggiare un allenatore, mentre è nella società di oggi non avere rispetto per le persone più grandi. È un discorso extra sport".

Ti senti schiavo dei moduli di gioco oppure pensi che siano i giocatori a dettarli?
"I giocatori ti consentono di adattare i sistemi di gioco. A me piace molto variare rispetto alla nostra base imperniata sul 4-3-1-2, anche in corsa, per stimolare e alzare l'attenzione della rosa e per destabilizzare l'avversario, togliendogli punti di riferimento in campo. Ma sono tutte nozioni base che vengono studiate fino al sabato, non s'improvvisa nulla".

Sei barese e tifoso del Galletto, come giudichi la situazione che sta vivendo la squadra della tua città e del tuo cuore?
"Mi dispiace che il Bari sia stato sulla bocca di tutti per le conosciute vicissitudini. Così come da piccolo il mio sogno era giocare nel Bari, mi farebbe piacere un domani tornare a lavorare per la società biancorossa. Tornare da allenatore al San Nicola sarebbe un sogno. Si potrebbe riportare nuovo entusiasmo se qualche barese che ha fatto grande il Bari quando giocavo io potesse tornare in società. Potrebbe essere un mezzo per rianimare la piazza, vista la depressione nata dopo le ultime vicende. Conosciamo l'ambiente e le dinamiche, magari sarebbe un buon modo per ridare la scossa. Chissà...".

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