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Grazie a Lavezzi ho visto Maradona. La legge del San Paolo non esiste più. Il Milan è cinico e spietato. Allenatori si nasce

di Pierpaolo Marino
Grazie a Lavezzi ho visto Maradona. La legge del San Paolo non esiste più. Il Milan è cinico e spietato. Allenatori si nasce
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Questa volta non posso esimermi dal commentare il Monday Night, giocato dalla mia ex squadra, il Napoli, e dal Milan, anche perché, il direttore Criscitiello, stamattina, con tono garbato quanto convincente, mi aveva detto che non potevo evitare di farlo.
Prima della partita, guardando in televisione le immagini dell'ingresso in campo delle due squadre, mi sono emozionato e per un attimo mi è sembrato di rivivere gli indimenticabili momenti del prepartita dei tanti posticipi del Napoli di Reja contro le grandi squadre. Attenzione, non sto parlando della notte dei tempi, ma soltanto di un paio di anni fa e di un Napoli formato per lo più dagli stessi giocatori di oggi, con meno esperienza e più convinzione. Un Napoli che, in quegli anni, aveva saputo imporre a tutti, dalla imbattibile Inter (di Mancini prima e di Mourinho poi) alla Juventus (tre sconfitte in tre anni, Coppa Italia compresa), dal Milan alla Fiorentina e al Palermo, la inesorabile legge del San Paolo.
Nel mio cuore nutrivo la speranza che gli azzurri ci facessero rivivere finalmente, un'altra notte magica. L'auspicio era quello di vedere sin dai primi minuti, un Napoli arrembante, che, con il ritmo e la velocità, colmasse l'indiscutibile gap tecnico esistente nei confronti di un Milan, tanto ricco di "qualità", quanto povero di "intensità".
La partita, invece, è stata caratterizzata da una prima parte molto tattica, nettamente dominata da un Milan, ben messo in campo da Allegri, a cui veniva consentito di giocare su ritmi molto congeniali alle caratteristiche dei rossoneri. Dall'altra parte, un Napoli molle ed impacciato.
Una prima parte di partita così, è difficile da spiegare, ma, in altre partite casalinghe, di quest'anno e dello scorso campionato, si era già assistito ad approcci di gara simili degli azzurri. Non credo sia questione di personalità o di eccessiva tensione causata dall'entusiasmo di un San Palo esaurito. Negli anni passati, questi stessi giocatori, (esclusi Cavani, De Sanctis e Dossena), avevano saputo usare questa impareggiabile spinta dell'ambiente per trasformare lo stadio di Fuorigrotta in un fortino dove tutte le grandi (Benfica compreso in Coppa Uefa) pagavano l'inevitabile dazio. Per questa ormai preoccupante emorragia di punti casalinghi, vanno ricercate e studiate motivazioni tattiche e strutturali e non filosofiche.
Non è un caso che, quando il Napoli, a causa dell'espulsione di Pazienza, ha dovuto gioco forza passare ad una linea difensiva a quattro, alle spalle di un centrocampo più armonioso, per quanto in inferiorità numerica, ha entusiasmato, arrivando anche a sfiorare una clamorosa rimonta.

Nelle partite casalinghe, poi, si sente in misura maggiore la mancanza di una prima punta di ruolo che l'organico del Napoli non ha. Deficienza, questa, ottimamente mascherata in trasferta, grazie all'impareggiabile capacità di Cavani e Lavezzi di aggredire gli spazi alle spalle degli avversari, che, in quel caso, sono chiamati a fare la partita. In una serata che lascia negli occhi e nei cuori di chi tiene al Napoli la generosità e lo spirito indomito della squadra in inferiorità numerica, insieme al grande rammarico per la sconfitta, non posso esimermi dal dedicare uno spazio a quel fantastico campione di Lavezzi. In una partita in cui non si è visto Cavani, il Pocho ha giocato per due e da solo ha pareggiato l'inferiorità numerica, trascinando letteralmente il Napoli con i suoi inarrestabili strappi e le indomite, quanto ubriacanti sgroppate in ogni latitudine della metà campo avversaria. Un brivido improvviso mi ha attraversato dalla testa alla punta dei piedi, passando per il cuore, quando Lavezzi, con un colpo di reni e una pennellata di esterno, ha segnato mentre era in terra disteso. Improvvisamente, mi è sembrato che indossasse la maglia numero 10 e che fosse tornato tra noi il grande Diego. Alzi la mano chi, per un attimo, non lo ha sognato. Il fatto di aver potuto rivivere, dopo 20 anni questa emozione, mi ha fatto sentire orgoglioso di aver avuto il coraggio di portarlo a Napoli e di averlo difeso, al suo arrivo, dalle prime feroci critiche di una parte della stampa.
Per quanto riguarda il Milan, è stato cinico e spietato, come sa e deve essere una grande squadra formata da tante splendenti individualità. Non posso, però, non evidenziare i progressi, Real Madrid a parte, tattici e d'insieme, che Allegri sta determinando nella squadra. Lo guardo sulla panchina rossonera e ricordo quando, appena 24enne, lo portai a Pescara. Durante gli intervalli delle partite, nel magazzino dello stadio Adriatico, dove era solito riavvitare i bulloni delle sue scarpette, con saggezza e discrezione, mi esternava le sue riflessioni tattiche e i correttivi che avrebbe, poi, suggerito, durante il secondo tempo in campo ai compagni. E' proprio il caso di dire che: allenatori si nasce!

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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