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Vukotic, una settimana da Milan

di Germano D'Ambrosio
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Se Weah portò al Milan il concittadino Zizì Roberts, altrettanto fece Dejan Savicevic con Miodrag Vukotic, ruvido difensore montenegrino finito poi a vagabondare in campionati impossibili. Forse pensavano che - come accade in certe promozioni commerciali - chi porta un amico riceve un premio. Ma nel calcio funziona diversamente. Vukotic peraltro è riuscito nella non facile impresa di diventare una meteora dell'Empoli, squadra assai avara di stranieri allo sbaraglio. I tifosi del club toscano sentitamente ringraziano.

Miodrag Vukotic nasce l'8 novembre 1973 a Podgorica (all'epoca conosciuta ancora come Titograd), attuale capitale del Montenegro. Dopo una lunga gavetta nelle serie inferiori (laddove neanche Internet può arrivare!), ha l'occasione di debuttare nella serie A jugoslava nella stagione 1990/91 con la maglia del Buducnost di Podgorica. Esordisce proprio nel big-match contro la Dinamo Zagabria, riuscendo ad arginare - nonostante la giovanissima età - le folate offensive di Davor Suker e Zvonimir Boban. Per Miodrag è un periodo particolarmente fortunato: pochi mesi prima di affacciarsi nel "calcio dei grandi", si era infatti laureato vice-campione d'Europa con la Jugoslavia Under 17. Il ragazzo resta al Buducnost per altre tre stagioni, giocando sia da stopper che da terzino destro, finché il club non retrocede in seconda divisione. Nell'estate del 1994 passa dunque al Vojvodina Novi Sad, club decisamente più blasonato; qui però Miodrag - inquadrato come difensore centrale a tutti gli effetti - è chiuso nel suo ruolo dal più esperto Dejan Govedarica, futura meteora del Lecce. Il Vojvodina riesce ad attestarsi per due anni consecutivi al terzo posto in campionato, palesando chiare ambizioni "europee", ma Vukotic preferisce in ogni caso tornare al Buducnost, nell'estate del '96, alla ricerca di un maggior minutaggio. La scelta si rivela tutto sommato azzeccata, poiché il club nel frattempo è risalito in serie A e può dunque garantire al ragazzo una visibilità senza dubbio maggiore. E poi giocando a Podgorica c'è la possibilità di incrociare Dejan Savicevic, anche lui originario della capitale montenegrina, che torna spesso nella sua città natale. E' proprio durante uno di questi incontri che al Genio viene in mente di portare il ragazzo con sé al Milan. "E' molto bravo e ha tutti i numeri per sfondare anche nel campionato italiano", garantisce Savicevic alla stampa italiana. Arrigo Sacchi non può che fidarsi, e fa arrivare Miodrag a Milanello, il 16 gennaio 1997, per una settimana di prova. Puntuale, sette giorni dopo, la trionfale notizia diffusa da Ariedo Braida: "E solo questione di dettagli, di firme, ma l'accordo c'è: Vukotic entrerà nella rosa del Milan". Ha 23 anni, e lo staff rossonero punta su di lui per svecchiare il reparto arretrato (composto all'epoca da gente come Baresi, Maldini, Costacurta, Desailly, Tassotti e il neo-arrivato Vierchowod). Ma non sarà certo tutta colpa di Vukotic se, undici anni dopo, continua ad essere l'età media dei difensori uno dei tasti dolenti in casa Milan...

"Questo è il paradiso del calcio". Con lo sguardo ancora incredulo, è così che il timido Miodrag (un nome da formaggino, scherza Germano Bovolenta sulla Gazzetta dello Sport) descrive Milanello al termine dei sette giorni di prova. "Un posto meraviglioso, adesso capisco perché il Milan in questi anni ha vinto tanto. Quando ho stretto la mano a Baresi mi sembrava di sognare. Io l'avevo visto soltanto in televisione, in Montenegro. Lui è un monumento, un mostro sacro". La faccia è quella di un bambino assunto come garzone in un negozio di caramelle. "Quando Savicevic mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto provare nel Milan sono rimasto senza fiato. 'Io? Ma sei sicuro?'. Ero emozionato e incerto, ma lui mi ha detto di non preoccuparmi, che valeva la pena provare. Io da parte mia sono già contento di aver passato alcuni giorni accanto a questi campioni". Per Sacchi, Vukotic non è un semplice apprendista: ceduti Galli alla Reggiana e Panucci al Real Madrid, le sue doti fisiche (è alto 1.85) e tecniche (ottimo colpo di testa, discreto tiro) possono essere concretamente utili alla causa, nell'ottica del tecnico romagnolo. E poi, con il mentore Savicevic al fianco (che lo accompagna passo passo, e pare gli faccia guidare pure la sua auto), non possono certo sorgere problemi d'ambientamento. Miodrag prende la maglia numero 35, e attende che arrivi il suo momento. Ma la stagione 1996/97 è tra le più nere della storia recente del Milan (quella di Dugarry e Reiziger, per intenderci), e quando bisogna vincere a tutti i costi - pensa erroneamente Sacchi - è meglio affidarsi ai giocatori più esperti. A fare le spese di questa teoria è anche il giovanissimo Francesco Coco, che di lì a poco esploderà con la maglia del Vicenza. Il montenegrino deve accontentarsi di calcare il prato del Meazza soltanto in occasione di una gara non ufficiale, cioè l'amichevole contro il Chelsea del 19 febbraio; Sacchi lo manda in campo nel secondo tempo, insieme ai Primavera Alberto Comazzi e Nicola Corrent. Il difensore gioca benino, servendo pure un assist a Dugarry per il 2-0 finale. In campionato Miodrag trova sempre semaforo rosso, anche nelle afose gare di fine campionato, quando in genere il turnover è quasi scontato. Troppo lento per il gioco di Sacchi - affermano fantomatiche voci di corridoio -, ma fatto sta che a giugno il giocatore rimane l'unico tra quelli in rosa a non aver disputato neanche un minuto in gara ufficiale. Eppure le richieste per lui non mancano: si parla di Grasshopper, Goteborg e Standard Liegi, anche se il ragazzo vuole restare in Italia, e possibilmente in serie A. Il Milan cerca allora di piazzarlo a qualche neopromossa, e dopo aver sondato inutilmente il Brescia riesce a trovare l'accordo con l'Empoli, che si accolla in prestito pure Angelo Pagotto. I toscani, allenati da Luciano Spalletti, sono all'esordio in serie A e sventolano orgogliosamente la bandiera del made in Italy: a parte Vukotic, gli unici stranieri sono il portiere serbo Kocic (già suo compagno di squadra ai tempi del Vojvodina), l'attaccante sloveno Florijancic ed il difensore brasiliano Cribari. Dei tre, Miodrag è l'unico che non ha ancora imparato l'italiano; "ma ho già memorizzato tutti gli ordini e i termini tecnici che usano gli allenatori", tranquillizza lui. Nelle amichevoli prestagionali il montenegrino fornisce prove a dir poco balbettanti, in coppia con Marco Pecorari (oggi all'Avellino); esordisce in campionato il 31 agosto 1997, disputando gli ultimi cinque minuti di gioco all'Olimpico contro la Roma. Il dg Fabrizio Lucchesi tenta in extremis di restituirlo al Milan in cambio di Smoje, ma a Milanello campeggia la scritta "non si cambia la merce usata". Il difensore resta così ai margini della rosa, alternando panchina e tribuna. A gennaio il Milan decide di cederlo in Svizzera a titolo definitivo: viene richiesto dallo Zurigo, ma alla fine la spunta lo Young Boys di Berna. Vukotic lascia l'Italia con una sola presenza ufficiale (peraltro di pochissimi minuti) in un anno complessivo di attività. All'arrivo credeva di aver trovato il paradiso; ha scoperto invece l'inferno.

In Svizzera il nostro Miodrag resiste soltanto sei mesi; dopodiché decide di tornare ancora una volta al Buducnost Podgorica. Quando, l'anno dopo, firma per il semi-sconosciuto Mogren di Budva - club montenegrino che proprio quell'anno retrocede nella serie B jugoslava - in molti lo danno per spacciato. Ma il ragazzo ha un piccolo scatto d'orgoglio: nell'estate del 2000 firma con l'ambizioso Waldhof Mannheim (seconda divisione tedesca), conquistando un posto da titolare. Tuttavia due anni dopo, quando le porte della Bundesliga sembrano potersi schiudere, sente di nuovo nostalgia di casa e firma con l'FK Zeta di Golubovci, con il quale ottiene una storica promozione nella massima serie serbo-montenegrina. Miodrag tenta allora la carta del campionato austriaco: tra il 2003 e il 2004 milita prima nel Ried (flop clamoroso, due sole presenze) e poi nel Kapfenberg, in serie B, dove però resta soltanto per tre mesi. Poi ancora sei mesi allo Zeta, e di nuovo un anno al Ried, in un infinito ping-pong. Chiude infine la carriera nell'estate del 2007, dopo un'annata con il Mladost Podgorica culminata con la retrocessione in seconda divisione. Un "canto del cigno" piuttosto emblematico della sua carriera. Ora pare si sia ritirato a vita privata, in attesa di tornare alla ribalta magari nel ruolo di allenatore. E adesso che il suo amico Savicevic è alla guida della Federazione calcistica del Montenegro, chissà che non sia ancora lui a potergli trovare un lavoro.

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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