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Massimo Orlando: "Ho paura della Sla"

di Redazione TMW.
Fonte: Corriere della Sera - corriere.it
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Ha guardato in faccia la Sla, e ha avuto paura. Massimo Orlando, 37 anni, all'amichevole per il suo amico Stefano Borgonovo non ha regalato soltanto qualche lacrima di coccodrillo e quattro calci al pallone. Ci ha messo il coraggio che portava sulla fascia. Gli altri dribblavano l'argomento, e lui ne parlava. Gli altri sono tornati alle loro vite, e lui continua a parlarne. «Abitavamo nella stessa casa a Firenze, abbiamo vissuto insieme tanti momenti: per me Stefano era ed è un esempio prezioso ».
Il contatto con i campi verdi, i traumi e le microfratture, le medicine masticate come pop corn, il ruolo di centrocampista, un passato come Borgonovo al Milan e alla Fiorentina, la squadra dei misteri che alla Sla e ad altre patologie mortali, da Beatrice a Longoni, ha immolato campioni e portatori d'acqua. Orlando ha frequentato tutte le concause che, unite a un'indispensabile predisposizione genetica, sono ritenute alla base della Sla. Tranne il doping. «Il mio migliore amico è ancora il medico della Fiorentina, che mi ha curato per tanti anni. Non ho nulla da rimproverargli, però... ».
Però qualche spiegazione è arrivato il momento di pretenderla.
«Il calcio non ci dice tutto. Serve chiarezza su quel che succedeva negli spogliatoi. Cosa ci hanno dato? Io non ci dormo più la notte».
Forse anche Gazza, ha sentito?
«Sono preoccupato, molto. Sarà la mia tendenza all'ipocondria, saranno le mie paure, sarà l'impatto emotivo dell'amichevole a Firenze per Stefano, che conosco bene e con cui ho giocato, ma su di me quella serata ha avuto un effetto esplosivo».
Con quali conseguenze?
«Io dei controlli li ho fatti. Un check up completo. E continuerò a farli periodicamente».
Ha qualche sintomo?
«Negli ultimi anni il mio fisico ha subito dei cambiamenti. Mi affatico per niente e dopo lo sport sono sempre stanchissimo... Ho solo 37 anni, io...».
La sua paura ha fatto rumore.


«In quella giornata così particolare mi sono lasciato un po' andare, lo ammetto. Ma la verità è che sono preoccupato e, come me, molti giocatori ed ex giocatori».
Perché gli altri non parlano?
«Forse hanno paura di esporsi, forse dovrebbero fare nomi e cognomi, non lo so... Ho incontrato ex compagni di squadra che cambiavano discorso anche a Firenze, con Stefano lì accanto in carrozzella ».
Reazioni dopo?
«Qualcuno mi ha chiamato e mi ha detto: bravo, sei stato coraggioso, anche io ho paura della Sla ma non l'ho detto a nessuno».
Nell'ambiente se ne discute parecchio, insomma.
«L'ambiente è in allarme, altro che storie. Secondo me tenere vivo l'argomento non può far male: più se ne parla, meglio è. E noi calciatori, come personaggi pubblici, abbiamo il dovere di dare un segnale forte».
Forse i giovani non ci pensano, credono di essere immuni a tutto.
«Ecco, vorrei dire loro che la carriera di calciatore dura poco, intorno ai 35 anni smetti e poi comincia la vita vera. E nella mia vita vera io ho una bimba di sette anni e mezzo... ».
Cosa la tormenta?
«Non sapere. Nessuno conosce le cause della Sla, nessuno ci dice nulla. Non ci vengono date spiegazioni. Allora me le procuro da solo: leggo, m'informo, mi documento, vado su Internet».
Lei, da ex, che idea si è fatto sulle cause della Sla?
«Io non so se la malattia sia legata al calcio, ma di certo se ripenso alla mia carriera mi vengono i brividi. Ho avuto mille infortuni, sette operazioni per rotture varie a ginocchia e caviglie, infiniti microtraumi, che per i calciatori sono ordinaria amministrazione. Ho fatto colpi di testa in quantità industriale. Ho abusato degli antinfiammatori, come tutti: nessuno mi imponeva nulla, ma se volevo giocare non c'era alternativa. Io di farmaci nella mia carriera ne ho presi veramente tanti».
E, come lei, chissà quanti suoi colleghi. Perché i protagonisti del mondo del pallone sono così reticenti sull'argomento?
«Non lo so. Io so solo che se ho voglia di parlarne non devo dare spiegazioni a nessuno: né alle società nelle quali ho giocato né al mondo del calcio ».

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