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...con Giuseppe De Mita

di Redazione TMW
Fonte: M.C.
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Intervistare Giuseppe De Mita è come rispolverare un libro vecchio dallo scaffale. Non parla, con la stampa, da circa tre anni, da quando il "suo" Avellino retrocesse dalla B alla C1, con Colomba in panchina. Era la sua scommessa: persa. In precedenza, però, ne aveva vinte tante altre con la Lazio di Sergio Cragnotti e quel mondo, che per anni gli è appartenuto, oggi lo vede da lontano.

"Il calcio mi manca tanto, ma oggi la mia vita è un'altra".

De Mita, insieme al socio Tommaso Cellini, gestisce un'agenzia di comunicazione (Acme) che organizza eventi, convection e ha anche a che fare con lo sport, soprattutto volley e tennis. Il suo nome è stato accostato, in questi tre anni di silenzio, alla Gea e ad un processo infinito per gli altri ma non per lui che ben presto ne è uscito a testa alta.

"Ha influito negativamente nel rapporto che avevo con il calcio, soprattutto emotivamente considerata la mia posizione marginale nell'inchiesta calciopoli".

Quindici anni nella Lazio dei miracoli. Quella che doveva essere una società di medio-alto livello è diventata, quasi subito, la squadra dei sogni che faceva invidia non solo in Italia. De Mita non dimentica Cragnotti e, quando lo disturbiamo in un freddo pomeriggio dello scorso fine settimana, si illuminano gli occhi a parlare di quella Lazio e di quel Presidente che non dimenticherà così facilmente.

"E' stato un grande innovatore del calcio, ha reso mondiale la Lazio e di lui non posso che avere un ricordo stupendo. L'altra domenica l'ho visto in televisione, mi è venuta tanta nostalgia anche perché io all'Olimpico manco da quando ho detto addio alla Lazio. Nei prossimi giorni chiamerò il Presidente per un saluto, al quale sarò grato per tutto il resto della mia vita".

Le posso chiedere se c'è e dov'è la differenza tra la Lazio di Lotito e quella di Cragnotti?

"Guardi, la Lazio ha un potenziale enorme grazie al proprio bacino di utenza. Lotito lo conosco da anni, prima che acquisisse il club, con lui ho avuto diversi problemi legali e siamo ancora in causa e aspettiamo l'appello; anche se due cause già le ho vinte. Non mi faccia fare paragoni, posso solo dire che io e Lotito abbiamo due idee diverse del calcio e della vita, questo non vuol dire che la mia sia quella giusta".

La Lazio di Cragnotti, il Parma di Tanzi, la Fiorentina di Cecchi Gori: era tutto un film già visto?

"Della gestione economica non conosco bene i dettagli e penso non sia possibile fare un paragone con le altre società".

Giuseppe De Mita è un fiume in piena. L'intervista dura poco meno di un'ora: parla di tutto. Ha voglia di dire ciò che pensa, ma soprattutto ha piacere a parlare di calcio. Per questo... noi gli chiediamo di tutt'altro: solita domanda, vecchia e noiosa. Quanto pesa questo cognome? Quanto pesa essere il figlio di Ciriaco De Mita?

"Vede, ci sono tante spine ma anche molte rose. Sono orgoglioso del cognome che porto e del padre che ho. Mi ha dato tanti consigli nella mia vita, non solo professionali e nel periodo di calciopoli mi ha semplicemente detto: l'importante è che hai la coscienza a posto".

Si ricorda di quello striscione ad Avellino? De Mita C. orgoglio, De Mita G. vergogna!

"Certo che lo ricordo. Era esposto in curva Sud ma non era stato frutto dell'idea dei tifosi, dietro c'era un mio collega all'interno della società che aveva organizzato tutto. Qui non c'entra né il tifo né la popolazione".

Un pensierino alla politica, però, potrebbe anche farlo. No?

"Sotto i grandi alberi difficilmente cresce l'erba. Proprio perché non volevo paragoni con mio padre ho scelto l'unico campo, del quale lui non ne avesse mai fatto parte: il calcio".

Ci dica la verità. A noi risultano tante proposte che in questi anni ha ricevuto. Perché non ha mai accettato e soprattutto quando deciderà di rientrare?

"E' vero, non lo nego, ho avuto diverse proposte ma o per un motivo o per l'altro non le ho ritenute interessanti. Non era il momento. Ripeto adesso sono molto impegnato con la mia agenzia di comunicazione che è il mio lavoro e mi porta via tutta la giornata".

Non penserà che chiudiamo senza che le chieda del suo rapporto con Luciano Moggi...

"Un rapporto come tanti altri. Ho avuto diversi contatti quando io ero alla Lazio e in due circostanze voleva prendere due nostri calciatori ma gli andò male in entrambi i casi".

Sia più preciso. Vogliamo i nomi e cognomi.

"Moggi ci chiese Dejan Stankovic ma il calciatore decise di accettare la proposta dell'Inter e chiudemmo con Moratti. Piaceva alla Juventus anche Jaap Stam e, allo stesso modo, lì non facemmo nulla perché l'olandese preferì i rossoneri. Moggi è uno capace che sfrutta il suo talento di conoscere in anticipo i bravi calciatori".

Realmente la Gea ed i personaggi che ne facevano parte sfruttavano il loro potere, ben oltre la legalità?

"Io alla Gea ricordo solo brave persone. Era un bel progetto quello avviato insieme, è stata una mia creatura. Dal 2003 sono andato via, poi ho avuto con loro solo un rapporto lavorativo e posso tranquillamente dire di non aver mai ricevuto minacce".

La salutiamo, ma prima ci confessi di chi è tifoso...

"Sono cresciuto a Roma e sono sempre stato laziale. Sono rimasto legato a quella Lazio. Avellino, però, è Avellino. Una città dove non ho fatto bene e mi prendo tutte le mie responsabilità. Una piazza dove si può fare del grande calcio e ho sbagliato a farmi convincere dai fratelli Pugliese a fare quel che loro volevano fare mentre dovevo essere io a convincerli a seguire il mio modo di operare"

A presto e grazie Direttore

"Grazie a voi, alla prossima"

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