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Tancredi: Roma ecco la mia verità

di Maurizio Libriani
Fonte: Il Romanista

E' rimasto in silenzio per tre anni. Un silenzio immotivato, imprevedibile, inaccettabile, questo sì, più della scelta di lasciare la Roma dopo ventisette anni di immacolata comunione. Tra il dubbio di un futuro incerto a Roma e la certezza di un contratto sicuro altrove, quell'estate dell'anno di(s)grazia del 2004 Franco Tancredi scelse quel che avrebbero scelto tutti: mettersi l'amore alle spalle per sentirsi per la prima volta un professionista che non lascia spazio ai sentimenti, come talvolta un professionista è costretto a fare. Ma commise un errore fondamentale: «Non spiegai i motivi alla base della mia scelta, né con i miei amici alla Roma, né pubblicamente. Non mi sembrava il momento, le circostanze erano particolari. Scelsi di andar via, e su questo nessuno avrebbe potuto rimproverarmi nulla, ma lo feci in silenzio, e questo fu uno sbaglio di cui poi mi sarei pentito". Per Il Romanista oggi Tancredi torna a parlare con un lunghissimo ed emozionante memoriale, dopo aver interrotto il silenzio per qualche breve intervista allo stadio Olimpico, la sera della celebrazione degli ottanta anni, e dopo aver spiegato in sintesi i motivi del suo addio, il giorno dopo, a Mimmo Ferretti de Il Messaggero. "Ma adesso sono contento di raccontare nel dettaglio quel che è successo a distanza di tempo e sono contento di farlo con voi che nei giorni della festa mi siete stati molto vicini". Oggi comincia il suo racconto, a partire dalla fine, dalla festa e dai fischi di una parte dei suoi vecchi tifosi. "E' stato un grande motivo di orgoglio essere invitato alla festa della Roma. Avevo preso parte nel 1977 anche alla celebrazione dei 50 anni. L'altra sera sono arrivato allo stadio portando sulle spalle i miei ventisette anni di Roma. Che gioia ho provato!, prima per la presentazione, poi per la partitella. In squadra avevo gente come Aldair, come Totti... sono sensazioni belle, e poi rigiocare all'Olimpico...".

E i fischi?
"Sapevo a che cosa stavo andando incontro, avevo letto proprio sul vostro giornale l'aria che tirava. Che devo dire?, ognuno fa le scelte che vuole. Certo, hanno fischiato uno orgoglioso di partecipare a quella festa e di indossare la maglia della Roma. Del resto quel che è successo è stato frutto di un mio errore commesso tre anni fa, non posso rimproverare niente a nessuno, se non a me stesso. Da parte mia non c'è stata la giusta comunicazione, è stato un errore, lo ammetto, anche se poi in troppi si sono sentiti in dovere di giudicarmi. Purtroppo questo fa parte del caratteraccio che ho. Se pensi che ho perso un mondiale nel 1986 per logiche poco condivisibili eppure non ho fatto una polemica neanche lì, come se non fosse accaduto nulla. Altri avrebbero fatto fuoco e fiamme. Io sono fatto così, mi chiudo nel mio silenzio e guardo avanti".

Raccontaci che cosa è successo, tre anni fa.
"Intanto ci tengo a dire che non sono scappato, né di giorno né di notte. Chi ha detto che sono andato via per soldi andasse a rivedere i contratti. Io posso solo dire che non c'erano le condizioni per proseguire il lavoro alla Roma. Ho avuto un'offerta per seguire uno dei più grandi allenatori al mondo e dopo averci pensato un po' ho accettato. Forse non tutti sanno che non doveva essere la Juventus, questa squadra".

Era l'Inter, no?
"Esatto. Poi è diventata la Juventus. Avevo capito che per me a Trigoria non si metteva bene. C'era aria di rinnovamento, io c'ero già passato: dopo aver allenato in prima squadra dal '91 al '96, con Ottavio Bianchi, Mazzone, e poi ancora con Carlos Bianchi e Boskov, quand'è arrivato Zeman con un suo allenatore dei portieri non ho avuto scelta, dovetti scegliere tra andar via o andare al settore giovanile. Io ho scelto la Roma, ho fatto sette anni al settore giovanile, fiero di lavorare ancora per la Roma e di accompagnare il cammino di portieri tipo Amelia, Zotti, Curci, Campagnolo e altri che adesso giocano in serie C. Lavoro fatto molto bene, mi pare. Nessuno s'è chiesto allora che stava succedendo a Franco Tancredi, se era contento della "retrocessione". Ma io ho continuato a lavorare. Avevo promesso che sarei riuscito a venirne fuori, magari sono stato fortunato, ma voglio anche riconoscermi qualche merito. Sta di fatto che Fabio mi ha offerto di lavorare con lui alla Roma e poi, quand'è andato via, di seguirlo. Ottenni un colloquio con la società, chiesi un riconoscimento con un contratto lungo e un adeguato corrispettivo economico. Ma non c'erano le condizioni, così scelsi di andar via».

Con chi parlasti?
"Con Franco Baldini".
Capello andò via praticamente di nascosto.
"Fabio aveva una clausola nel suo contratto che era libero di andarsene. Non gliel'avevo mica firmata io quella clausola. Qualcuno l'ha fatto".

E quando Capello t'ha detto che la società era la Juve non hai avuto neanche un attimo di tentennamento?
"Certo, ci ho pensato a lungo, è stata una scelta molto sofferta. Quando siamo arrivati a Torino ho avuto anche qualche conferma, come saprai non ci hanno accolto con le fanfare. Ci ho pensato per due giorni di seguito, ma non c'era un'altra strada. Non c'è un colpevole, è andata così. La Roma non riteneva opportuno darmi riconoscimenti, nonostante ad esempio Pelizzoli lavorando con me fosse arrivato in nazionale. Ancora lo sento Ivan, mi ha chiamato anche due giorni fa. E poi forse nei tre anni successivi ho dimostrato che qualcosa potevo valere. Lavorando, con reciproca soddisfazione, con portieri che si chiamano Gigi Buffon e Iker Casillas".

Con chi ti confidasti in quel momento di indecisione?
"Con la mia famiglia, mi fu di grande conforto. Era una scelta difficile, avevamo scelto di vivere a Roma già da tempo, siamo romani acquisiti e questa è la città in cui finirò i miei giorni. Ma la possibilità di lavorare a grandi livelli con Fabio era molto allettante".

Qualcuno ci rimase male anche alla Roma.
"L'ho detto, ho sbagliato, non parlai anche con i miei amici alla Roma. Non per presunzione, come qualcuno potrebbe aver pensato. Ma è vero, non ho neanche salutato".

E poi, non si poteva rimediare all'errore?
"Poi era tardi e ormai si erano affrettati tutti a dar giudizi. Ma nessuno ha voluto sentire l'altra campana. Io in quel momento ho preferito prendermi quegli insulti per non sputare sul piatto dove ho mangiato per ventisette anni. Sentivo anche io tante cose. Gli insulti, le grida, quei "Traditore" buttati lì con troppa facilità. Ma ho mandato giù tutto, senza reagire".

E quando sei tornato a Roma per le partite?
"A quel punto la situazione era irrimediabile. Ogni volta che tornavo era un boccone amaro da inghiottire. Eppure, ti garantisco, nei due anni in cui sono stato a Torino, nonostante facessi parte di un'altra squadra, non ho mai esultato a un gol della Juve contro la Roma. Per rispetto ai miei ventisette anni nella Roma".

All'Olimpico ti hanno fischiato, ma hai preso anche tanti applausi, Franco.
"Porto rispetto anche a chi ha fischiato. Quanto agli applausi, beh, è inutile che te lo dica, mi hanno fatto piacere e ne sarei stato orgoglioso anche se fosse stato uno solo ad applaudire. Mi riconosco in quella maglia, ventisette anni di Roma senza macchia, scusa se te lo ripeto, ma io li sento tutti dentro. Ho fatto i miei errori, da giocatore e da allenatore. Ma li rivendico tutti, con grandissimo orgoglio".

Ti va dato atto anche della tua serietà: ai fischi hai risposto con applausi sinceri.
"Ho applaudito tutti, è vero. Perché conosco questi valori. Io non ho dimenticato la passione che ha il tifoso della Roma. Qualcuno mi ha dato del traditore per radio ma come posso dimenticare quei venticinque minuti e più a cantare "Che sarà sarà" con la Roma ormai eliminata al cospetto del Bayern?, io ero in campo quel giorno, sono cose che non si dimenticano. Come posso non ricordare l'emozione che mi ha dato lo striscione "Ti Amo"? Ho un solo cruccio: le cose che ti sto dicendo adesso avrei dovuto dirle tre anni fa. Ma ho sbagliato".

L'hai detto Franco e ti fa onore. Peraltro non sei stato il solo ad essere fischiato. Una razione se l'è presa anche Cafu.
"Fatico a capirlo. Anche lui ha lasciato il ritiro per un giorno, aveva l'orgoglio di essere presente. Sarebbero comportamenti da apprezzare anche se nella vita la professione ti porta a fare altre scelte. Anche perché qual è la differenza tra me, Cafu e magari un caro amico come Carletto (Ancelotti, ndr) che invece è stato accolto con un boato? Non ha allenato anche lui la Juve?".
Forse sta tutto nella modalità con cui vi siete lasciati Roma alle spalle.
"Ma la mia scelta in fondo l'ha fatta un altro, l'ha fatta Fabio".

Hai avuto modo di parlare con qualcuno della famiglia Sensi l'altro giorno?
"Inutile girarci intorno. Non c'è un gran rapporto tra di noi, ma non ho niente da rimproverare a nessuno. L'altra sera non c'è stato proprio modo di incontrarci".

Negli anni in cui sei stato qui ti sei sentito sottovalutato sotto il profilo economico?
"Non mi piace parlare di queste cose. Non sono mai stato violentato quando ho firmato i contratti. Le scelte le ho fatte e accettate in piena coscienza. Ma parlare solo di questioni economiche ci porta fuori strada. E' sempre stato un fattore assolutamente secondario. E' la considerazione che semmai era venuta a mancare. Può bastare una pacca sulla spalla, in certi momenti. Certo, sono rimasto a lavorare nella Roma, a casa mia, ma non mi sono mai sentito in vacanza, né a svernare, ho sempre fatto il mio lavoro. Da anni c'è una certa crisi di vocazione nel ruolo e il mio compito l'ho sempre preso con una missione. I risultati alla Roma si sono visti".

C'è stato qualche malinteso per l'invito alla festa. Puoi chiarirlo?
"Cinque-sei giorni prima mi ha chiamato una signorina del'organizzazione dicendomi che per un disguido postale non mi era stato recapitato l'invito a casa. Ho ringraziato e poi ho richiamato per comunicare che avrei partecipato".

La cosa che ti ha fatto più piacere qual è stata?
"Innanzitutto rivedere questo affetto della gente per la squadra, poi rivedere i miei ex compagni dello scudetto. E anche altri, quelli dei tempi di Anzalone, e poi il mio allenatore Tessari, e ricevere tantissimi attestati di stima. Tutti hanno capito che c'era questo imbarazzo per la mia presenza, chi per scherzo, chi per sostegno, mi sono stati tutti vicini. Ci tengo a ringraziarne uno in particolare: Sebino Nela, che in questi tre anni mi è stato sempre vicino anche quando gli altri mi ignoravano. A lui auguro le migliori cose, se le merita. Se pensiamo che s'è laureato a Coverciano e ha la qualifica di direttore sportivo, s'è laureato a Coverciano e ha la qualifica di allenatore, io penso che presto il calcio italiano avrà bisogno di lui. Gli auguro di trovare posto e magari un giorno lavoriamo insieme".

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