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Sandy, la Samp e l'Indonesia

di Alessio Calfapietra
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Vi proponiamo un giochino: scrivete le prime tre cose che vi vengono in mente dopo aver pensato per qualche istante all'Indonesia. La prima sarà probabilmente il turismo; la bellezza da cartolina di isole come Bali e Giava è rinomata e non sta certo a noi ribadirla. La seconda forse è quel terribile Tsunami che ha spazzato via centinaia di migliaia di vite umane. E la terza? Qualcuno ha indicato un celebre film con Catherine Deneuve? Spiacenti, ma si chiama "Indocina". In ogni caso nessuno di voi ha associato il calcio a questo "esercizio mentale", perché il calcio ha poco o niente a che vedere con l'Indonesia. Rimane ancora un mistero infatti come Kurnia Sandy, ragazzone nato a Semarang il 24/8/1975, sia transitato per un anno nella Sampdoria e abbia giocato nella formazione primavera sino a scomparire nell'indifferenza generale. Il suo arrivo in Italia nell'estate del 1996 ha dell'insondabile, perché se l'Indonesia ha ben poco da offrire agli amanti del pallone (non si è mai qualificata ai mondiali dal dopoguerra ad oggi ed ha raccolto una miseria anche nelle competizioni asiatiche), meno che mai ha qualcosa da dare alla patria dei portieri. All'epoca, e non come oggi dove gli estremi difensori stranieri stanno diventando la regola e quelli italiani l'eccezione, proporre un indonesiano in porta era come importare tulipani in Olanda o portare le famigerate civette ad Atene. Kurnia Sandy rientra in un progetto di collaborazione triennale fra la Sampdoria e la federazione indonesiana: qualche dirigente blucerchiato dalla vista lunga e amante delle scommesse estreme vuole provare una soluzione esotica, del resto Ferron e Sereni vanno spronati dalla presenza minacciosa di un talento orientale pronto a rubargli il posto. Il dirigente in questione, per sovrammercato, prende anche l'attaccante Kurniawan Yulianto, nell'ottica di insidiare il ruolo da titolare di Mancini e Montella.

Il duo di belle speranze ha però un riscontro tutto sommato negativo, e se Kurniawan dura molto poco, il collega ha almeno la soddisfazione di giocarsi le sue chanches nelle giovanili, anche se il classico tragitto da gambero incombe dietro l'angolo e Kurnia Sandy fa ritorno in patria già l'anno successivo. Finisce il suo sogno europeo, cullato con trepidazione e ardimento, ma non la carriera calcistica: alla resa dei conti Kurnia si rivela un portiere molto bravo, e diventa uno dei giocatori più quotati della Liga Djarum, titolare della nazionale (almeno per qualche tempo) e delle squadre più importanti del campionato, con tanto di trionfi anche nella coppa dei Campioni asiatica. E Kurniawan, se possibile, fa ancora meglio, divenendo una delle migliori punte che lo sport indonesiano abbia mai espresso nella storia. E anche Bima Sakti e Anang Ma'ruf, "desaparecidos" nel loro corso genovese, hanno costituito l'ossatura della rappresentativa locale. Se per Gumprecht avevamo usato il motto "Nemo propheta in patria", questa volta dobbiamo ribaltarne il significato, perché mai come in questo caso, Kurnia e compagni propagano il verbo nel cortile vicino casa. Se non fossero passati alla Sampdoria per un improbabile stage, li avremmo di certo menzionati con un altro motto latino, che qui traduciamo con un fin troppo chiaro "Beato chi ha un occhio nella terra dei ciechi". Kurnia Sandy si è da poco trasferito al Persik con rinnovate ambizioni, chissà se qualche volta gli capita di ricordare quei mesi trascorsi ad allenarsi alle dipendenze di Sven Goran Eriksson. Lo svedese di certo no...

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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